Agguato ai fratelli Manzo, sentenza durissima: cinque ergastoli
Condanne per mandanti ed esecutori: Pasquale Gionta, Alfonso Agnello, Giovanni Iapicca, Stefano Zeno e Giovanni Birra
20-10-2015 | di Salvatore Piro
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Ad uccidere i fratelli Marco e Maurizio Manzo, sicari del clan Ascione Papale di Ercolano, nell’agguato del febbraio 2007 al bar ‘Maemi’ di Terzigno, furono Giovanni Iapicca ed Alfonso Agnello. Su ordine di Pasquale Gionta, Giovanni Birra e del suo braccio armato Stefano Zeno: ergastolo per tutti.
E’ la durissima sentenza con la quale il giudice della Corte d’Assise di Napoli, Marina Cimma, oggi scrive la parola fine sul processo in abbreviato per il delitto dei due fratelli di 39 e 32 anni, crivellati di colpi la sera del 10 febbraio di otto anni fa, in un massacro di chiaro stampo camorristico. Per lo stesso omicidio sono già stati condannati all’ergastolo a luglio anche Michele Chierchia, alias ‘Fransuà’, fedelissimo del clan Gionta e Franco Casillo, detto ‘a’ vurzella’, il narcos che gestiva lo spaccio al ‘Piano Napoli’ di Boscoreale.
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Accolta in toto la richiesta del pm della DDA partenopea, Pierpaolo Filippelli, per il quale il duplice omicidio fu costruito per vendetta. Organizzato dai vertici del clan Birra-Iacomino, d’accordo con i Gionta di Torre Annunziata, per lavare col sangue lo “sgarro” subito poco prima ad opera degli Ascione-Papale: l’uccisione di un affiliato, l’ennesimo. Ma stavolta di lusso. Giuseppe Infante, genero del boss Giovanni Birra, fatto fuori il 28 giugno del 2001 a Ercolano. A pochi giorni di distanza, il clan Birra eliminò anche Antonio Papale, fratello del boss avversario.
L’ex capo-clan di Torre Annunziata Pasquale Gionta (figlio del ras ergastolano Valentino e fratello di Aldo) fornì quindi il suo gruppo di fuoco per una delle faide di camorra più sanguinose del Vesuviano. A sparare a Marco e Maurizio Manzo, colpiti ormai dalla sentenza di morte decretata a tavolino dalla camorra, Giovanni Iapicca (43) ed Alfonso Agnello (51, noto negli ambienti criminali come ‘chiochiò’), attualmente al 41-bis ad Opera a scontare 17 anni e quattro mesi di carcere per associazione di stampo mafioso ed omicidio tentato in concorso.
Lo scorso 9 ottobre il Tribunale di Napoli ha sequestrato il cosiddetto “tesoro” di Agnello. Beni immobili dal valore di circa 850mila euro, ancora nella disponibilità del vecchio guardaspalle, poi cresciuto a suon di piombo per eliminare i “nemici” del clan. Pure Marco e Maurizio Manzo.
In foto, da sinistra, Alfonso Agnello, Pasquale Gionta e Giovanni Iapicca
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