Sabato 14 Marzo l´associazione A.M.A.C.I. di Torre Annunziata ospiterà la manifestazione dal titolo "per fare...?" organizzata e promossa dal gruppo "Italia 232 - Comuni Vesuviani" di Amnesty International.

Questo evento, un pre-serale con inizio alle 18:30, si propone come obiettivo quello di sensibilizzare e di informare sulla questione israelo-palestinese nella prospettiva dei diritti umani.

Ricco il programma della serata: dopo la presentazione dell´associazione a cura dei volontari di Amnesty, seguirà una panoramica storica sul conflitto tra israeliani e palestinesi e sul ruolo di Amnesty nel conflitto per ciò che concerne la protezione dei diritti umani. Verrà poi proiettato il documentario "The iron wall" di M. Alatar, un palestinese attivista dei diritti umani. "The iron wall" nasce da ciò che Alatar ha visto con i propri occhi nel West Bank e dalla voglia di condannare la politica coloniale israeliana sui territori occupati. Il nastro è prodotto da "Palestinian Agricoltural Relief Commettees" (una ong composta da biologi palestinesi che denunciano lo status ambientale della West Bank a causa delle colonie israeliane) e da "Palestinian for peace and democracy" (una ong istituita dallo stesso Alatar con lo scopo di sensibilizzare i palestinesi ad una vi a democratica e di libertà).
"L´obiettivo dell´incontro - spiegano i volontari del gruppo 232 - Comuni Vesuviani - è quello di informare la cittadinanza sull´infinito conflitto tra israeliani e palestinesi non pretendendo di indicare le vittime ed i carnefici e neanche di emettere sentenze, ma semplicemente spolverare le radici del conflitto utilizzando la storia e le testimonianze e smuovere l´interesse dell´opinione pubblica su una questione che molto spesso viene considerata relegata geograficamente al Medio Oriente ma che invece riguarda tutti". Filo conduttore di questo tuffo nel passato sarà l´azione di Amnesty International nella tutela dei diritti umani sia da una parte che dall´altra.


CENNI STORICI SU AMNESTY INTERNATIONAL

• Amnesty International è un´Organizzazione non governativa indipendente, una comunità globale di difensori dei diritti umani che si riconosce nei principi della solidarietà internazionale. L´associazione è stata fondata nel 1961 dall´avvocato inglese Peter Benenson, che lanciò una campagna per l´amnistia dei prigionieri di coscienza. Conta attualmente due milioni e duecentomila soci, sostenitori e donatori in più di 150 paesi. La Sezione Italiana di Amnesty conta oltre 80.000 soci.
• 1961 - Il 28 maggio l´avvocato inglese Peter Benenson lancia dalle colonne del quotidiano di Londra The Observer un "Appello per l´amnistia": il suo articolo, intitolato "I prigionieri dimenticati", racconta la vicenda di due studenti portoghesi arrestati per aver brindato alla libertà.
• 1963 - Viene istituito a Londra il Segretariato Internazionale di Amnesty International.
• 1964 - Le Nazioni Unite conferiscono ad Amnesty lo status consultivo. In tre anni ha adottato 1367 prigionieri, 329 dei quali successivamente rilasciati.
• 1975 - Nasce ufficialmente la Sezione Italiana di Amnesty International.
• 1977 - Amnesty riceve il Premio Nobel per la pace, per aver "contribuito a rafforzare la libertà, la giustizia e conseguentemente anche la pace nel mondo".
• 1985 - Amnesty decide di estendere il suo mandato anche ai rifugiati politici.
• 1991 - Amnesty adotta un nuovo mandato, impegnandosi a promuovere tutti i diritti sanciti dalla Dichiarazione universale dei diritti umani, a combattere gli abusi commessi dai gruppi armati di opposizione e a includere tra i prigionieri di coscienza le persone imprigionate a causa del proprio orientamento sessuale.
• 1999 - Amnesty decide di sviluppare il proprio lavoro sull´impatto delle relazioni economiche sui diritti umani e di intensificare le sue attività in favore dei difensori dei diritti umani e contro l´impunità.
• 2001 - Svolta nella storia di Amnesty: il movimento agirà ora per "prevenire e porre fine a gravi abusi dei diritti all´integrità fisica e mentale, alla libertà di coscienza e di espressione e alla libertà dalla discriminazione, nell´ambito della propria opera di promozione di tutti i diritti umani".
• Visione e missione: La visione di Amnesty International è quella di un mondo in cui a ogni persona son riconosciuti tutti i diritti umani sanciti dalla Dichiarazione universale dei diritti umani e da altri atti sulla protezione internazionale dei diritti umani.
Nel perseguimento di questa visione, la missione di Amnesty International è quella di svolgere ricerche e azioni per prevenire e far cessare gravi abusi dei diritti all´integrità fisica e mentale, alla libertà di coscienza e di espressione e alla libertà dalla discriminazione, nell´ambito della propria opera di promozione di tutti i diritti umani.
• Valori fondamentali: Amnesty International costituisce una comunità globale di difensori dei diritti umani che si riconosce nei principi della solidarietà internazionale, di un´azione efficace in favore delle singole vittime, della copertura globale, dell´universalità e indivisibilità dei diritti umani, dell´imparzialità e indipendenza, della democrazia e del rispetto reciproco.
• Metodi: Amnesty International si rivolge a governi, organizzazioni intergovernative, gruppi politici armati, imprese e altri attori non statali.
Amnesty International si propone di accertare abusi dei diritti umani con accuratezza, tempestività e continuità nel tempo.
L´organizzazione svolge ricerche sistematiche e imparziali su singoli casi di violazione e su violazioni generalizzate dei diritti umani. Le conclusioni sono rese pubbliche e i soci, i sostenitori e lo staff di Amnesty International mobilitano la pressione dell´opinione pubblica sui governi e su altri soggetti allo scopo di porre fine a questi abusi.
In aggiunta al suo lavoro su specifici abusi dei diritti umani, Amnesty International chiede a tutti i governi di rispettare la sovranità della legge e di ratificare e attuare gli atti sulla protezione internazionale dei diritti umani; svolge un´ampia gamma di attività nel campo dell´educazione ai diritti umani; incoraggia le organizzazioni intergovernative, i singoli individui e gli organi della società a sostenere e rispettare i diritti umani.
L´azione di Amnesty International nei confronti delle parti coinvolte nel conflitto israelo-palestinese
• Amnesty International chiede al governo israeliano di rispettare gli obblighi derivanti dal diritto internazionale dei diritti umani e dal diritto umanitario, più specificamente gli obblighi spettanti alle potenze occupanti sulla base della Quarta convenzione di Ginevra e in particolare di proteggere e rispettare i diritti umani di tutte le persone che vivono nei Territori Occupati, senza discriminazioni; porre fine ai coprifuoco, alle chiusure e alle altre limitazioni alla libertà di movimento che costituiscono delle punizioni collettive, garantendo che le limitazioni siano imposte solo se assolutamente necessarie, connesse ad una specifica minaccia alla sicurezza e non risultino discriminatorie e sproporzionate in termini d´impatto e durata; astenersi dalla costruzione del muro o barriera di sicurezza o di altre strutture permanenti all´interno dei Territori Occupati che costituiscano o diano luogo a limitazioni permanenti al diritto alla libertà di movimento dei palestinesi nei Territori Occupati o all´arbitraria distruzione o confisca delle loro proprietà; modificare l´Ordinanza militare n. 378 relativa alle limitazioni al movimento, per adeguarla agli standards internazionali sul diritto alla libertà di movimento; istituire procedure chiare e trasparenti, fondate sulla legge, per istituire, sospendere e contestare le limitazioni alla libertà i movimento; garantire il diritto di ogni persona a procurarsi i propri mezzi di sostentamento con un impiego liberamente scelto o accettato; porre fine all´uso eccessivo della forza, rispettando gli standards internazionali che regolamentano l´uso della forza e delle armi da fuoco, rendendo noto alle forze di sicurezza che all´uso letale intenzionale delle armi da fuoco si deve ricorrere solo quando sia stret tamente inevitabile allo scopo di proteggere vite umane e qualora mezzi meno estremi siano insufficienti; non ricorrere in alcun modo alla forza letale per imporre il rispetto del coprifuoco e di altre limitazioni alla libertà di movimento; garantire che le forze di sicurezza incaricate di far rispettare limitazioni alla libertà di movimento non ricorrano mai a trattamento punizioni crudeli, inumani o degradanti; porre fine all´impunità, impegnandosi a prevenire, indagare, perseguire e punire le violazioni dei diritti umani commesse dalle forze di sicurezza o dai coloni israeliani ai danni della popolazione palestinese; modificare o annullare le leggi che impediscono ai palestinesi che hanno subito violazioni dei diritti umani di ottenere un risarcimento e quelle che ostacolano le riunificazioni familiari; accertare la presenza nei Territori Occupati di osservatori internazionali specializzati nella verifica del rispetto dei diritti umani;
• Amnesty International chiede ai gruppi armati palestinesi di porre immediatamente fine alle uccisioni e agli attacchi mirati contro la popolazione civile israeliana, sia all´interno di Israele che nei Territori Occupati;
• Amnesty International chiede inoltre all´autorità nazionale palestinese di prendere provvedimenti concreti e con carattere di urgenza per impedire attacchi ai civili israeliani da parte dei gruppi armati palestinesi sia all´interno di Israele che nei Territori Occupati; condurre indagini approfondite su ciascuno di questi attacchi e garantire che i responsabili siano assicurati alla giustizia in procedimenti conformi agli standards internazionali sul giusto processo; porre fine alla violenza nei confronti delle donne e agli "omicidi d´onore"; sospendere le esecuzioni, ripristinando la moratoria sulla pena di morte in vista della sua completa abolizione;
• Amnesty International chiede infine alla comunità internazionale di garantire che siano rispettati gli obblighi derivanti a Israele dal diritto internazionale dei diritti umani e dal diritto umanitario, più specificamente i suoi obblighi di potenza occupante previsti dalla Quarta Convenzione di Ginevra; assicurare che i diritti umani siano al centro di ogni negoziato, intesa provvisoria ed accordo finale; prevedere la presenza nei Territori Occupati di osservatori internazionali specializzati nella verifica del rispetto dei diritti umani, con l´obiettivo di garantire maggiore sicurezza alla popolazione civile israeliana e palestinese.

Scheda storica
ISRAELE, PAESI ARABI, PALESTINA
Mezzo secolo di conflitti
Uno dei principali motivi dell´instabilità in Medio Oriente consiste nel contrasto tra Israele e i paesi arabi, storicamente prodotto dallo scontro tra nazionalismo arabo e sionismo ebraico, e da quello tra Israele e i palestinesi, che è conseguenza dell´irrisolto problema di come conciliare confini sicuri per lo stato israeliano e di costruire al contempo uno stato-nazione per il popolo palestinese.
Per comprendere le ragioni di una profonda sedimentazione di odio, tale da rendere difficile, per alcuni impossibile, accedere a soluzioni negoziali tra le parti, occorre risalire al tempo della seconda guerra mondiale, quando il flusso dell´emigrazione sionista ebraica, già forte negli anni ´30 del Novecento divenne ancora più consistente.
Nel 1945 vivevano in Palestina 1250000 arabi e 550000 ebrei, il cui numero era destinato a crescere negli anni seguenti, quando il movimento sionista fruì del sostegno dell´opinione pubblica democratica. Permettere che gli ebrei avessero la loro patria sembrava un modo per risarcirli dagli orrori della shoah.
La Gran Bretagna, a cui spettava il protettorato sulla Palestina, non riuscì a controllare lo sviluppo accelerato di un´ immigrazione intesa a creare in Palestina lo Stato d´Israele, soluzione a cui si giunse nel maggio 1948. A quel punto gli stati della Lega Araba reagirono militarmente, ma furono sconfitti nella prima delle guerre arabo-israeliane. Il declino dell´egemonia britannica, il rafforzamento politico dello stato d´Israele e la ripresa del nazionalismo arabo, che dispose di un nuovo punto di riferimento anticolonialista e modernizzatore nell´Egitto di Nasser, posero le premesse di un secondo conflitto, scoppiato nel 1956 a margine della crisi di Suez.
Dopo di allora le tensioni mediorientali mutarono, nel senso che Israele si affermò come la massima potenza dell´area, mentre gli Stati Uniti si sostituivano al controllo diretto e indiretto esercitato dalle due potenze coloniali europee, Francia e Gran Bretagna. Intanto, nel 1964 venne fondata l´Organizzazione per la Liberazione della Palestina, destinata a fornire un supporto militare e politico alla causa del popolo palestinese, che viveva disperso nei paesi arabi o sotto la sovranità israeliana.
Le posizioni s´irrigidirono nel periodo compreso tra la "guerra dei Sei giorni" (il fulminante attacco sferrato nel giugno 1967 con cui Israele sconfisse per la terza volta la coalizione araba ed estese i propri confini occupando Gerusalemme, l´Alta Gallilea, le alture del Golan e tutto il Sinai) e la "guerra del Kippur", del 1973,che finì per confermare la supremazia israeliana.
La questione palestinese venne allora esportata nei paesi limitrofi, infiltrandosi nelle fragili basi pluriconfessionali del vicino Libano, invaso nel 1976 dalla Siria e nel 1982 da Israele e scenario di cruente faide tra bande armate di opposti gruppi etnici e religiosi.
Le capacità difensive e offensive di Israele, colpito da una crescente minaccia terroristica, delegittimarono il nazionalismo laico dei paesi arabi, in primo luogo l´Egitto, palesemente non più in grado di offrire una sponda politica e militare sia al movimento palestinese sia a quello anti-israeliano dei popoli arabi del Medio Oriente. Fu in quel momento che il fondamentalismo islamico si presentò sulla sanguinosa scena mediorientale, grazie anche al successo della rivoluzione islamica in Iran, che aveva abbattuto il bastione filo-occidentale del governo dello shah (1979) e innescato la guerra con l´Iraq, destinata a durare fino al 1988.
La fine degli anni ´80 fu dominata dal radicarsi dell´integralismo e dalla rivolta palestinese (Intifada) nei territori arabi occupati da Israele (Gaza e Cisgiordania). In quella temperie, sovraccarica di odi religiosi e nazionali, atteggiamenti di netta intransigenza ispirarono le posizioni delle diverse parti in causa, che si riconoscevano nello stato di Israele o nei governi arabi o nelle forze militari e politiche della resistenza palestinese, perlopiù unite nell´Olp guidata da Yasser Arafat. Una svolta parve annunciarsi con la disponibilità espressa nel 1988 da parte dell´Olp ad accogliere la risoluzione 242 dell´ONU, accettando l´esistenza dello stato di Israele e la nascita di uno stato indipendente in Palestina. Si aprì allora una fase di colloqui, sfociata in accordi segreti e diretti tra Olp e Israele (chi amati accordi di "Oslo I"), che prevedevano il reciproco riconoscimento e l´apertura di un negoziato per l´autonomia amministrativa della Striscia di Gaza e di Gerico. L´intesa fu ufficializzata dai rispettivi leaders, RabinArafat, a Washington con la mediazione del presidente americano Bill Clinton (1993) e perfezionata negli anni seguenti (accordo del settembre 1995, "Oslo II"), con l´impegno di Israele a ritirare le proprie truppe da gran parte della Striscia di Gaza e della Cisgiordania e a trasferire poteri e competenze all´Autorità Nazionale Palestinese (ANP), che avrebbe dovuto costituire il primo nucleo, seppure a sovranità limitata, del futuro stato di Palestina. e
La complessa mediazione, intessuta di reciproci sospetti, minacciata dai gruppi dell´estremismo islamico contrari all´intesa e osteggiata dai settori oltranzisti israeliani, fu vanificata da entrambe le parti. In Israele, dopo l´assassinio del primo ministro Yitzhak Rabin, ucciso nel novembre del 1995 da un militante dell´estrema destra, si aprì una convulsa fase politica, che vide tra l´altro l´affermazione parlamentare delle forze ultraortodosse, contrarie alla cessione di territori e di sovranità e sostenitrici dei nuovi insediamenti di coloni nei territori, che erano oggetto di negoziato. Specularmente, sul fronte palestinese prevalsero posizioni estremiste che erosero i già ristretti margini di mediazione e intaccarono la credibilità di Arafat.
Con l´esplosione della seconda Intifada nell´anno 2000 e con la ripresa del terrorismo, che mise a segno negli anni successivi una sequela impressionante di attentati diretti contro civili e militari israeliani, scatenando severe contromisure militari da parte di Tel Aviv, vennero affossate le prospettive negoziali precedentemente prospettate. Esse erano comunque destinate a prendere fiato.
Sotto la presidenza americana di George W. Bush un nuovo piano (Road Map), elaborato da Stati Uniti, Unione Europea, Russia e Nazioni Unite, che recuperava gli accordi di Oslo sulla base del principio di "due popoli-due stati", vincolò le parti a impegni definiti e cadenzati: la nascita dello stato palestinese, il diritto dei profughi palestinesi (circa 2 milioni e mezzo, che vivono in Giordania, Siria e Libano) a rientrare nei territori d´origine, il rinnovamento della leadership palestinese nel senso di una inequivocabile presa di distanza dal terrorismo e di un impegno a contrastarlo. Nel difficile impegno negoziale intervenne la decisione israeliana di erigere un murounità nazionale con i laburisti (gennaio 2005) e, sul fronte opposto, l´elezione di Abu Mazen alla guida dell´Autorità Palestinese dopo la morte di A rafat (2004), furono visti come segnali, sia pur tenui, del ritorno di uno spirito negoziale. Pur tuttavia permane il peso delle frange più radicali, che da entrambe le parti si oppongono agli accordi di pace, perpetuando una situazione in cui le poche concessioni reciprocamente fatte rischiano di apparire insufficienti di fronte ad opinioni pubbliche indurite da anni di occupazioni, attentati, conflitti. nel nord della Cisgiordania, inteso come strumento di protezione nazionale dall´infiltrazione di terroristi. Ciò ridava fiato all´estremismo palestinese, esploso con nuovi attentati a cui seguirono incursioni degli Israeliani nei Territori. Nel 2004 l´Assemblea Generale dell´Onu approvò una mozione di condanna del muro e ne chiese lo smantellamento. Pur non conformandosi a tali atti, il governo israeliano del premier Sharon mise a punto un piano di ritiro de gli insediamenti dei coloni da Gaza che, tra forti resistenze, cominciò ad essere attuato. Intanto la formazione, in Israele, di un nuovo governo di
Scheda del documentario
THE IRON WALL
Il muro di ferro
Il documentario è diretto da Mohammed Alatar, un palestinese attivista dei diritti umani nato in Giordania ma che vive negli Usa.
"The iron wall" nasce da ciò che ha visto con i propri occhi nel West Bank e dalla voglia di condannare la politica coloniale israeliana sui Territori Occupati.
Il nastro è prodotto da "Palestinian Agricoltural Relief Commettees" (una ong composta da biologi palestinesi che denunciano lo status ambientale della West Bank a causa delle colonie israeliane) e da "Palestinian for peace and democracy"(una ong istituita dallo stesso Alatar con lo scopo di sensibilizzare i palestinesi ad una via democratica e di libertà). La sua durata è di circa 52 minuti.
L´attenzione del film è per l´incessante sviluppo degli insediamenti illegali israeliani, a seguito dell´occupazione del 1967, entro ciò che rimaneva della Palestina dopo la catastrofe del 1948, il Nakba. Fu allora che le forze sioniste attraverso attacchi terroristici ed attacchi militari confiscarono quasi l´80% della Palestina storica per creare uno stato che permette pieni diritti per Ebrei non-semiti, diritti parziali per Ebrei semiti, e pochi diritti per i cittadini arabo-israeliani le cui case, proprietà e villaggi erano stati usurpati.

Nel film ci sono interviste con importanti attivisti per la pace palestinesi ed israeliani, ed analisti politici. Jeff Halper, Akiva Eldar, Hind Khouty, ed altri forniscono testimonianze decisive riguardo l´impatto delle politiche di Israele -- i checkpoint, gli avamposti militari, gli insediamenti illegali, il razzista Muro dell´Apartheid, ed il continuo attacco ai civili palestinesi, le loro case e l´infrastruttura dei villaggi e delle città palestinesi. Ma sono le interviste con i coloni ed i militari israeliani, ed i contadini palestinesi l´elemento che più turba -- ed il più rivelatore.

La questione centrale del documentario: una soluzione a due stati è possibile considerando la creazione quotidiana di fatti compiuti da parte di Israele entro ciò che rimane della Palestina?
Secondo Alatar, "Nel 1923, Vladimir Jabotinsky -- padre della destra sionista -- scrisse: ´La colonizzazione sionista... può procedere e svilupparsi solo sotto la protezione di un potere che sia indipendente dalla popolazione nativa -- dietro un MURO DI FERRO, che la popolazione nativa non può rompere´. Da quel giorno in avanti, queste parole sono diventate la politica ufficiale ed implicita del movimento sionista e, più tardi, dello Stato di Israele. Le colonie, a cui ci si riferisce spesso come "insediamenti", erano usate per rinsaldare la presa sionista nella Palestina storica".
"A seguito dell´occupazione del 1967 della West Bank e di Gaza, più di 200 insediamenti ed avamposti sono stati costruiti in questi territori, in violazione del diritto internazionale. "The Iron Wall" svela questo fenomeno e segue lo sviluppo del programma, le dimensioni, e la popolazione degli insediamenti, e dimostra come il Muro assicuri che essi siano un fatto permanente ed irreversibile sul terreno", dice Alatar. "Questo documentario avverte che un contiguo e fattibile stato palestinese non è più possibile, e che i cambiamenti per una risoluzione pacifica del conflitto stano sfuggendo di mano".
The Iron Wall non è solo apparso sulla pagina delle recensioni del New York Times, ma il Presidente Jimmy Carter, anche lui sotto attacco per il suo libro coraggioso "Palestine: Peace, Not Apartheid", ha lodato il film. Secondo Carter, "The Iron Wall" è "la migliore descrizione della barriera, del suo tracciato e del suo impatto