di AMATO LAMBERTI - La Campania ha già vissuto il disastro di Messina, ma il passato non insegna nulla. Nei paesi vesuviani, ad esempio, lo scempio del territorio è la regola. Il campanello d’allarme di via Zabatta.
Il disastro di Messina, con i suoi morti, i fiumi di fango che hanno cancellato strade, case, palazzi, i crolli e gli smottamenti dei costoni, era largamente prevedibile come tutti i disastri idrogeologici. Non si può trincerarsi dietro l’imprevedibilità delle le piogge troppo abbondanti. Responsabili sono gli uomini che hanno violentato scriteriatamente il territorio con costruzioni abusive ma anche con l’incuria, la mancata regimentazione delle acque, il consumo speculativo dei costoni senza nessuna attenzione ai possibili rischi di smottamenti e di frane.

In Campania lo sappiamo bene perché disastri anche di maggiori dimensioni li abbiamo dovuti registrare a Sarno, a Quindici, a Bracigliano, tanto per ricordare solo gli episodi più catastrofici che hanno talmente ferito il territorio che ad ogni pioggia scrosciante si ripete l’allarme inondazione e frane da parte della Protezione civile. In pratica, alcuni territori sono diventati a rischio idrogeologico permanente perché lo scempio del territorio è praticamente irreparabile a meno di non voler pensare di spostare la popolazione, abbattere tutte le costruzioni costruite in zone a rischio, rimettere mano alla bonifica idrogeologica del territorio. Nessun amministratore pensa neppure lontanamente di proporre una simile soluzione.

Ci si limita a tentare di mettere in sicurezza il territorio con opere di contenimento, canali di scolo delle acque, interventi sulle fondamenta dei palazzi, sapendo bene che eventi di grande intensità potrebbero mostrare l’insufficienza di questi interventi tampone. E si continua tranquillamente a costruire, come avviene in tutti i paesi vesuviani dove anche i canali di scorrimento naturale delle acque sono stati trasformati, quando va bene, in strade, se non in lottizzazioni anche di edilizia popolare. Anche a Quindici avevano costruito nell’alveo che permetteva alle acque piovane di defluire a valle: una pioggia più forte del solito lo ha trasformato in un torrente impetuoso che ha spazzato via i palazzi costruiti senza criterio, provocando, purtroppo, anche numerose vittime.

A Somma Vesuviana, a Terzigno, a Boscoreale, ad Ottaviano, a S.Giuseppe, a S.Gennaro, ma potremmo continuare facendo l’elenco di tutti i Comuni del Vesuviano, compresi quelli costieri, come Portici, Ercolano, Torre del Greco, Torre Annunziata, trasformare gli alvei di scorrimento naturale delle acque piovane in strade e costruirci dentro è la regola, anche perché si trattava di terreni demaniali -e, quindi, di nessuno- divorati dalla speculazione edilizia e dalla totale disattenzione delle amministrazioni. Ma non mancano i casi ancora più assurdi di interventi delle amministrazioni locali che, per risolvere problemi di viabilità e di movimento, hanno pensato bene di trasformare i letti di torrenti in strade, dando anche la stura ad operazioni di abusivismo edilizio selvaggio.

Se abitassi in questi paesi non dormirei sonni tranquilli, specialmente quando la pioggia cade a dirotto e via Zabatta (foto) si trasforma in un fiume di acqua, terra vulcanica e fango. Mi meraviglia anzi il fatto che i cittadini si lamentano del fatto che il fango non venga prontamente rimosso perché crea intralci alla circolazione automobilistica ma nessuno si pone il problema che le stesse acque, in situazioni di precipitazioni eccezionali, si potrebbero portare via le strade e le case.

Quei rivoli di fango che scendono dal Vesuvio e rendono spesso impraticabili le strade non sono mai avvertiti come il segnale di una situazione idrogeologica che necessiterebbe di essere attentamente monitorata. E tutti, cittadini a amministratori, continuano a dormire sonni tranquilli, come se il problema non li riguardasse direttamente.

Autore: prof. Amato Lamberti
da il Mediano.it