La macchina del tempo esiste. E salirci a bordo, vivere quell’esperienza, non è difficile. Basta soltanto essere ben predisposti all’ascolto, con l’animo giusto, ed affidarsi nelle mani di un conducente con bei racconti. Meglio ancora se arricchiti da una carismatica verve e simpatia.
In carrozza, si parte! Dove vi porto, signori?
Ed eccoci trenta, cinquanta, settant’anni indietro. In un balzo ci ritroviamo sugli spalti di un campo sterrato che guarda un mare che si allunga sulla sabbia nera, come a farci l’amore.
Siamo tre viaggiatori: Peppe, Angelo ed io e prendiamo vita all’improvviso tra il pubblico, ma di noi nessuno si accorge.
C’è gente con giacca, cappello e bastoni di bambù, un assortimento di baffoni, basettoni e brillantine e scarpe luminose, e pipe che sbuffano come le navi a vapore che entrano ed escono dal porto, operai con maglie di lana e pantaloni di flanella macchiati a farina e nazionali tirate fino a bruciarsi le dita. Nell’aria l’odore di salsedine sferra l’ultimo attacco al profumo di pasta asciugata al sole: è una sfida tra brezze di terra e di mare che si svolge da sempre su questo litorale, una competizione interminabile, quattro volte al giorno, tutti i giorni, dalla notte dei tempi ad oggi.
Lo sguardo è attratto dai colori femminili di alcune gentildonne che chiacchierano in un angolo degli spalti. Sembrano disinteressate all’evento sportivo, ma mentre i loro maschi si distraggono, danno occhiate maliziose ai ventidue aitanti giovanotti con mutandoni che si contendono la sfera di cuoio sul campo in terra battuta. Qui si mangia polvere di pallone che ha il buon sapore delle cose passate.
Non c’è la “ola”, né le “vuvuzele”, né gli ultras con gli stemmi da guerrieri. Ma c’è un popolo felice con il cuore che palpita e con l’adrenalina nel sangue tale e quale a quello dei giorni nostri. Si urla, si salta, si bestemmia, si esulta, ci si deprime, si sputa sull’arbitro e gli si da del cornuto. Tale e quale ad oggi.
Poi, dell’evento, ecco il momento atteso.
Il conducente ci ha portato qui per questo: un cross dalla sinistra verso un giocatore in maglia bianca e dalle spalle quadrate che corre verso il limite dell’area. Lo stopper lo contrasta, sembra avere la meglio ma il nostro fa una finta, il difensore abbocca e lo specchio della porta gli si apre davanti, invitante. Non è necessario guardala per prendere la mira, per sferrare la botta, perché lui la porta l’”annusa”, la “sente”, la “vede” senza vederla, perché il suo istinto sa dove inizia, dove finisce, da destra a sinistra, da terra alla traversa. E il portiere è un dettaglio trascurabile se il talento conferma la mira e la forza.
Prepara il tritolo curvando la schiena e caricando la gamba, e una frazione di secondo dopo il collo piede esplode sulla sfera di cuoio. Il pallone si solleva mezzo metro da terra. Viaggia teso verso la destra del portiere che si tuffa, si protende disperato, allunga la mano ma le dita si piegano, impotenti, bruciate da tanta forza della natura.
Un boato accompagna il goal del vantaggio del Savoia, volano le pipe e le sigarette nazionali, le bombette e i cappelli, si calpestano le scarpe lucide, si abbracciano padroni e operai e si cancellano le classi sociali e si macchiano a farina i vestiti di gran sartoria e s’improfumano di lavanda le maglie di lana e si sollevano festanti anche le sottane delle gentildonne.
Giovannino Giraud ha segnato uno dei suoi goal e noi stavamo lì, in mezzo al pubblico dei torresi degli anni ’30...

Quello appena raccontato è soltanto un gioiello del tesoro di ricordi custodito dal centravanti del Savoia dal tiro al fulmicotone. Ricordi intatti che alla soglia dei 99 anni ti trasferisce portandoti a zonzo con lui, con la sua macchina del tempo, come è accaduto altre volte, ma è sempre come fosse la prima volta, e si rinnova il profluvio di emozioni da ricambiare abbracciandolo con affetto e gratitudine.
Cose che capitano a tutti quelli che gli chiedono di raccontare gli anni belli dei fratelli Giraud e di Torre Annunziata.
“Ah! - fa ad un certo punto girando subito la chiave di accensione nel cruscotto della macchina – c’è una cosa che i torresi devono sapere. Mio fratello Michelino…. “.
Eravamo appena scesi ma risaliamo prontamente in macchina, spintonandoci.
Giovannino dà tutto gas sulla strada dei ricordi.
Vuoi vedere che con l´ultima finanziaria anche sulla strada della memoria hanno messo il Tutor…?
Pazienza, pagheremo la multa! Continua, Giovannì…
FILIPPO GERMANO