Il ricordo di Antonio Irlando del 23 settembre 1985 giorno dell´uccisione del giornalista anticamorra

Il mio ricordo di quel 23 settembre del 1985 è in due telefonate. La prima fu quella pomeridiana di Giancarlo Siani. Erano circa le 15 di un pomeriggio afoso ed ero a casa. Lo sentii, come quasi ogni giorno, da quando era a Napoli, in redazione al Mattino, da «regolare abusivo», per coprire ruoli giornalistici lasciati dai redattori in ferie. «E´ tutto tranquillo, oggi nessuna novità?», mi chiese sentendosi pur sempre il corrispondente della «sua» Torre Annunziata e aggiunse: «Qui mi annoio e sono stanco, ma spero che serva a qualcosa», dove quel «qualcosa» stava per la possibilità di avere un contratto giornalistico stabile. La seconda telefonata mi raggiunge intorno alle 22 alla redazione del periodico «TgCooper», una bellissima esperienza giovanile di giornalismo ed impegno civile. Al telefono il comandante della compagnia dei Carabinieri di Torre Annunziata, Gabriele Sensales, un ufficiale di grande valore con il quale quotidianamente, io e Giancarlo, ci confrontavamo. «Ciao Antonio - esordì - sono Gabriele, ah, sei al giornale, non muoverti che vengo subito io, ti devo dire una cosa». Era sempre stato di poche parole ma quella volta esagerò. Fu un fulmine. Non ricordo cosa pensai ma certamente ritenni che doveva anticiparmi qualche grossa notizia. Però il capitano non era mai venuto da me, ero sempre andato io in Caserma e poi, a quell´ora… tutto mi sembrò molto strano. Poi arriva. E´ in compagnia di due giovani brigadieri, il terrore dei delinquenti dell´area vesuviana.

Le facce sono cupe, la notizia che mi danno subito le spiega: «A Napoli, sotto casa hanno ammazzato Giancarlo». Per loro è chiaro: è stata la camorra. Avrebbero fatto di tutto per assicurare alla giustizia «quei bastardi», come disse con grande rabbia e con le lacrime agli occhi uno dei due giovani brigadieri. «Che fai?», mi disse il Capitano, con garbo ma anche con tanta fretta di dare la caccia ai killer di Giancarlo, «perché non vai a casa, ti accompagniamo noi». Dopo tempo seppi che Gabriele Sensales era preoccupato, per il semplice fatto che sapeva, più di ogni altro, il rapporto di condivisione professionale e umana che legava me e Giancarlo. Per molto tempo, con stile e discrezione, insieme a tanti straordinari militari, non mi fece mancare la quotidiana affettuosa vicinanza dei Carabinieri. Questa è la mia personale cronaca di quel tristissimo giorno. Ricordo il Giancarlo vero, ordinario, la persona che sentivo profondamente vicina e con la quale avevo piacere d´incontrami quasi quotidianamente. All´epoca ero corrispondente da Torre Annunziata dell´Ansa e ci «coprivamo» reciprocamente per evitare il temibile «buco». Giancarlo era quello con il taccuino, con la Mehari unica e riconoscibilissima che girava per Torre Annunziata relazionandosi a tutti con un sorriso, con l´aria disillusa, per niente triste e seriosa, non certamente da divo… Una persona che tutti riconoscevano come il «giornalista» che ogni mattina partiva dal Vomero per raggiungere la sua Torre Annunziata.

Spesso gli dicevo che era il primo caso di «inviato speciale» di un giornale, senza avere i mezzi e, soprattutto, lo stipendio da «inviato», perché rimaneva sempre il «povero», malpagato, corrispondente locale. Nei suoi articoli Giancarlo spiegava quanto accadeva, raccontava bene i contesti, offriva un quadro chiaro, lucido attendibile, con fonti sempre verificate. Era, come si usa dire, una persona seria, un «giornalista-giornalista» (secondo la brillante definizione di Marco Risi nel recente ed ottimo film "Fortapàsc", dedicato a Giancarlo), certamente non uno spregiudicato. Voleva sempre capire e possibilmente far capire quanto male la camorra faceva alla città. Le sue corrispondenze, anche se brevi e senza la prosa dell´inchiesta, sembravano capitoli di un racconto che si svolgeva giorno dopo giorno. Questo era il suo naturale talento. I camorristi con la morte non sono riusciti a zittirlo, perché oggi Giancarlo parla a tantissimi giovani di legalità, di pace, di solidarietà e della necessità di iniziare ad essere cittadini attivi e costruttori di buon futuro. «Giancarlo è morto - mi disse un giorno un liceale - ma emana ancora un intenso profumo di vita».

Antonio Irlando