Una domenica di settembre di due anni fa, avevo in mente di iniziare il programma da me condotto, Cuore Biancoscudato, con un tocco di "classe": realizzare un video che doveva far rimanere a bocca aperta.
Ne parlai con il direttore Filippo Germano, chiedendogli di accompagnarmi a casa di uno dei più grandi uomini di sport della storia savoiarda: Giovannino Giraud.
Filippo, contentissimo, appoggiò subito la mia idea consigliandomi di coinvolgere in questa missione il bravo collega sportivo Peppe Lucibelli, il quale, oltre che a conoscere a memoria la storia ultracentenaria dei bianchi (è stato uno degli autori del libro “Savoia Storia e Leggenda”) era amico dello stesso Giovannino Giraud.
Arrivò il grande giorno. In auto avevo il cuore in gola dall´emozione e cercavo di immaginare il volto di un uomo che ha fatto del calcio la sua linfa vitale; mi era difficile immaginarlo anche perché la mia giovane età ha fatto si che io lo conoscessi solo attraverso le foto sbiadite di alcuni quotidiani di sport, conservati come cimeli storici; l´appuntamento era fissato per le 10 del mattino, e noi eravamo puntuali. Da parte mia non volevo in nessun modo infastidire con l´attesa un personaggio che per me era un mito.
Entrato in casa Giraud, una signora dall´aspetto dolce e accomodante ci fece entrare, sussurrando a voce bassa che il "guagliunciello", così ironicamente la donna lo definiva nonostante i suoi 98 anni di età, ci stava aspettando.
Un corridoio dava sulla stanza principale. E’ inutile dirlo: era colmo di quadri che ritraevano il "guagliunciello" in pose calcistiche, con ai piedi sempre e solo il suo inseparabile "pallone di cuoio".
Il mio pensiero andava a quelle foto sbiadite dal tempo, e mi perdevo con il pensiero mentre cercavo di fissarle, con la speranza di memorizzarle quanto più a lungo possibile nella mia mente.
Ci accomodammo nel salone, e aspettavamo Giovannino che ci avrebbe raggiunto per onorarci della sua presenza.
D´un tratto, la nostra chiccchierata fu smorzata da un leggero e ripetuto strofinare di passi. Erano i rumori delle pantofole che strofinavano il pavimento, segno di chi non aveva forza di alzare i piedi per camminare e si adagiava al pavimento; contavo tra me e me i secondi affinché l´attesa fosse ripagata da quell´incontro unico.
Poi dall´uscio si fa avanti Lui, il mito, la storia savoiarda in persona; un uomo provato dalle sofferenza e dalla vecchiaia, ma con tanta gioia di essere al centro dell´attenzione per una causa sportiva nobile da lui abbracciata lungo la sua lunga vita: il calcio.
Sorretto dalla signora che lo aveva in cura si avvicinò a noi tre e, in meno che non si dica, si sedette e iniziò a ri(vivere) la sua vita calcistica.
Rimasi di stucco, finalmente avevo di fronte un mito, colui che aveva scritto pagine di storia della squadra del mio cuore, della mia città.
Prima, però, la nostra attenzione, fu straordinariamente colta da un qualcosa di speciale che lo stesso Giraud volle mostrarci. Quelle sue mani ormai invase dalle rughe, che quasi rimarcavano il tempo vissuto, egli le portò all´altezza del suo cuore, lì dove lo stesso aveva creato lo stemma del Savoia.
Noi tre ci guardammo negli occhi, quasi a non voler disturbare quel silenzio che la commozione aveva creato, increduli: un piccolo cartoncino, tagliato e colorato con i colori dello stemma savoiardo, era affisso sul suo pigiama, tenuto fermo da uno spillino. Sentii i brividi attraversarmi tutto il corpo, ero stupito e pensavo: questi sono uomini che amano la maglia, la squadra.
Giuseppe prese la parola, e iniziò piano a far capire i motivi giornalistici della nostra visita.
A questo punto il "guagliunciello" ordinò alla sua dama di compagnia di prendere i suoi cimeli, e qui vi posso giurare che iniziò il grande sogno.
Decide e decine di pagine in bianco e nero che parlavano delle gesta del glorioso Savoia targato Giraud una dietro l´altra venivano girate con delicatezza, facendo attenzione a non farle stropicciare (con maniacale cura) man mano sottolineando le sue imprese di calcio.
L´intervista andò avanti per ore, senza sosta, tutta d´un fiato, non voleva perdersi e non voleva che ci perdessimo nulla del suo prezioso racconto, alternando di tanto in tanto un piccolo colpo di tosse, quasi a testimoniare che non dovevamo perdere per nessuna ragione il filo del suo discorso.
Pagine ricche di storia, di articoli ingialliti del tempo che fu, scritte da giornalisti che nemmeno si leggevano più i nomi consumati. Mi colpì tanto il fatto che tra una pagina e l´altra fosse stato cosparso un leggero strato di borotalco, a protezione delle stesse pagine, per paura che il tempo potesse deteriorarle.
Un racconto che monopolizzò la nostra attenzione, e ci tenne quasi con il magone alla gola: era impressionante sentire un uomo di quell´età raccontare il libro della sua vita vissuta, ed era straordinariamente emozionante sentire come nessuna data, nessuna nota, venisse dimenticata. Ricordava tutto.
Ad un certo punto io, tenendogli stretta per mano, gli iniziai a parlare dell’attuale Savoia, cercando di sorvolare su certi aspetti e cercando con delicatezza di non fargli pesare le mortificazioni che noi oggi siamo stati abituati a vivere. Il suo sguardo mi scrutava, mi sentivo osservato con attenzione durante il mio racconto circa “il suo Savoia".
Era meravigliosamente magico vederlo attento nell´ascoltare quanto gli dicevo, a volte tremante dall´emozione. Ad un certo punto, a conclusione di quella magica mattinata, posi nelle mani di Peppe Lucibelli un mio piccolo regalo per lui: una maglia bianca con lo storico stemma del Savoia. Peppe, capendo il mio stato d´animo, mi disse: “Angelo è giusto che gli dai tu la maglia”. Emozionato, piano, con delicatezza, gliela posi tra le mani, mentre Filippo immortalava il tutto con la telecamera.
Fu una gioia incontenibile per Giovannino ricevere la maglia del suo Savoia, anche se ci teneva a sottolineare che il Savoia degli anni nostri aveva mortificato per lunghi anni il glorioso vessillo e mentre lo raccontava fissava Peppe e con voce grossa e decisa diceva: é verò Dottò? (riferendosi al Dottor Lucibelli).
Poi fu la volta del direttore Filippo Germano che a conclusione di quella fantastica intervista, spiegò dove sarebbe andata in onda la ripresa effettuata. A quel punto lui volle inviare, senza che nessuno di noi glielo avesse chiesto, un augurio speciale alla società attuale del Savoia, concludendo con un saluto indirizzato alla mia persona. Poi, anche un po’ visibilmente stanco, ci congedò con un gesto che ancora oggi è vivo nei nostri ricordi: avvicinò alle labbra lo stemma del Savoia cucito sulla maglia appena ricevuta in regalo e con dolcezza lo baciò ripetutamente! Un gesto che non dimenticherò mai e che soprattutto mi ha insegnato che lo sport può davvero donare emozioni al di sopra di quanto si possa immaginare.
Ringrazierò sempre il caro amico Peppe Lucibelli e il direttore Filippo Germano per quell´unica e impareggiabile emozione di quella giornata.
Vivrai nei miei ricordi sempre, Giovannino 1908, perché la parola Savoia sarebbe niente senza te.
R.I.P
ANGELO RISO