Abbiamo ripreso con un link da Il Mattino il video esclusivo dell´uccisione del giovane musicista rom, morto innocente per mano di criminali senza scrupolo. E´ morto tra l´indifferenza della gente, tra le mani della moglie che fino all´ultimo aveva chiesto, inutilmente aiuto ai passanti. E´ un video duro come un pugno nello stomaco che ci racconta come sia esile il filo tra la vita e la morte nel camminare per le strade delle nostre città.

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Il video choc della Napoli senza pietà
Il video dell’assassinio di Petru a Montesanto scorre in silenzio. Non c’è audio, il silenzio rimbomba nella testa come una marea. I ragazzi assassini sono in scooter, uno spara con la mitraglietta, a casaccio. Sembrano in preda a un raptus da cocaina, uguali ai soldati mandati a massacrare e a farsi massacrare in tutte le guerre imbottiti di alcol un tempo e oggi di psicofarmaci. Nelle immagini compare Petru, il rom che suonava sulle metropolitane come accade in tutte le grandi capitali. Petru è stato colpito, si tiene il ventre, barcolla, si piega, cade in ginocchio, magro come un Cristo crocifisso. Forse chiede aiuto, forse urla: non si sente niente, solo il silenzio. Vicino alla macchinetta obliteratrice dei biglietti c’è gente, Petru è lì, le persone devono vederlo per forza, non si capisce se sentono, non si capisce se hanno capito, non si capisce se pensano che sia un rom ubriaco o drogato, non si capisce se semplicemente se ne fregano. Nessuno lo soccorre, nessuno sente il dolore di Petru, lui e sua moglie sono invisibili. Petru muore davanti alla gente, un uomo muore e accanto a lui qualcuno si ostina a obliterare il biglietto guardando altrove, come in trance. La donna si china disperata, suo marito muore, il corpo resta solo, di colpo solo, nel silenzio assoluto, un suonatore di fisarmonica muore a Montesanto «per sbaglio», ucciso dai killer dei Sarno-Ricci in guerra con i Mariano.

Vorrei che questo video potessero vederlo tutti, e che nessuno dovesse vederlo. Le immagini dell’orrore vanno fissate con pietà, e passione, e con tutta la ragione sveglia, perché sono infettate dalla peste della violenza, e potenzialmente infettive. Queste immagini immerse nella loro irrealtà da film muto sono terribili: testimoniano l’assuefazione assoluta al Male in cui siamo congelati. Fissare il film della mancanza di carità della gente e la solitudine del rom che si guadagnava da sopravvivere suonando la fisarmonica è come ferirsi dentro: è atroce. Ma forse puntare il dito solo sui singoli smarriti di fronte a una violenza che somiglia a una pandemia, accusare solo i volti chiusi nell’egoismo nato dallo spavento, disgustarsi solo per i corpi fissi come automi a obliterare il biglietto mentre un uomo gli rantola a fianco, è troppo facile.

Chi può dire di essere del tutto libero dall’indifferenza autoprotettiva verso quello che accade? Chi può essere sicuro di sottrarsi sempre all’ipnosi della propaganda che ci rende il prossimo, rom o straniero o collega di lavoro o vicino di casa, un nemico mortale? Chi può dire di non distogliere mai lo sguardo da una realtà criminale e ingiusta che si avverte fatale e sopraffattoria oltre ogni limite? Negli automi chiusi al prossimo che obliterano il biglietto a Montesanto c’è una parte di tutti noi.

E il silenzio che accompagna queste immagini è spaventoso perché non è solo il silenzio della ragione, quello c’è da tempo e da tempo devasta la nostra vita, no: quello che urla in queste immagini è il silenzio della passione. Ma la passione civile non vive da sola nel corpo sociale, e se non può avere fiducia nelle istituzioni avvizzisce e muore. E come può il cittadino qualunque e normale avere fiducia nelle istituzioni? Tutti si sentono soli e abbandonati, i rom e i diversi e i poveri più di tutti, ma tutti si sentono sfiduciati e abbandonati. Gli inquirenti e le forze dell’ordine lavorano senza sosta, e spesso con grande successo: ma dove sono le istituzioni? Il loro compito è affiancare il lavoro di giudici e poliziotti bonificando la malaria sociale, la peste dell’ignoranza, il colera economico del disagio giovanile. Quanto denaro dei cittadini è stato speso qui dagli uomini delle istituzioni per dare brioches di cultura e arte contemporanea alla Maria Antonietta a un popolo che ha bisogno di pane? Molto, e inutilmente. Quanto denaro pubblico è stato speso per far credere che Napoli e tutta la regione godono di cultura e spettacolo a sazietà? Molto, e inutilmente. Inutilmente: con nessun aumento del turismo, della vivibilità, dell’immagine della città. E invece quanto denaro è stato speso per il lavoro oscuro, quello che non si vede subito e non è mediatico, il lavoro vero delle istituzioni che consiste nel bonificare lentamente il disagio lavorativo e culturale? Ognuno può rispondersi da solo guardando i ragazzi non più ragazzi che ammazzano Petru e le decine di migliaia di loro sosia che crescono pronti a sostituirli a Scampia o nei Quartieri o in tutte le periferie napoletane. Ma il lavoro oscuro che non si vede, il seme invisibile nel terreno, è ciò che davvero vogliono i cittadini dalla politica. Il silenzio della passione che cala su chi guarda le immagini dell’assassinio di Petru si può rompere. In questa città il coraggio e la solidarietà dei singoli e dei gruppi ci sono, e lo hanno dimostrato i funerali di popolo per Petru, spontanei, appassionati, civili. La passione qui non è morta, è irrigidita nei gesti automatici della paura e della sfiducia. Non abbiamo bisogno di fatalismo e di chi dice «è colpa della gente» per non assumersi le proprie responsabilità, questa commedia tragica qui ci è stata imposta per troppo tempo. Abbiamo bisogno di guardare in faccia le immagini di ciò che stiamo diventando, indifferenti al nostro prossimo, Petru o chiunque altro, e indifferenti alla cosa pubblica: e riprenderci tutto, la passione per la cosa pubblica e la passione per l’essere uomini.
di Giuseppe Montesano-IL MATTINO