L’intimismo è un atteggiamento artistico che ricerca la propria ispirazione in fatti individuali o ambientali circoscritti.
E a codesta tendenza è ispirata la nuova silloge di Nino Vicidomini (vedi foto) che nei suoi trascritti li esterna a mo’ di trilogia: la famiglia, la sua donna, il suo paese. Ma che poi accomuna in un unico sentire che dal particolare, tramite un ritmo armonioso, universalizza in modo egregio. E seguendo il suo percorso: Amore di luce (titolo della sua ultima raccolta poetica) ritroviamo la sua (e la nostra) infanzia, il suo (e il nostro) innamoramento, il suo (e il nostro) Paese. Una trilogia che, come abbiamo detto, appartiene a tutti noi e che coinvolge il lettore di prim’acchito. “…le mie stanche lontananze/portano dissidi/ nei giorni di paradiso./Ancora si screzia il passato/…e ancora più solo/attendo l’inganno/che canta la nostra canzone:/amore di luce”.
Ecco il filo conduttore che impernia tutta la poesia di questo poeta autentico: una venatura di larvato pessimismo fatta di “coraggiosa” timidezza, di “sonori” silenzi, di “inesplorati” paradisi, coronata da un
“ Amore di luce” e sublimata dall’incanto della quotidianità. Sono le ricordanze della sua fanciullezza povera, ma felice, quando ricorda
“…il tempo delle sassaiole/e dei traini carichi di grano/col bilancino al tiro…/. È tutto un susseguirsi di un mondo incantato della sua “mente fanciulla” che ritorna, come quando le mamme “…ai margini del pozzo/faticavano il bucato col sapone di piazza/e lo stendevano a fili di bandiere…/ …e risuonavano i colpi/sui bronzi delle trafile/lavorate al vico Novello…/.
E il rimpianto di aver perduto alla lippa, e l’ingenua soddisfazione di essersi rifatto barattando le “figurine” …Erano gli anni della Vespa/delle calze di seta/e del rossetto/…E tu Bianca, vendesti i capelli/ a quell’uomo/che dava la voce che neppure intendevi!/.
E tutto un incanto idilliaco di memorie e di ricordi che spaziano tra l’allora città operosa di Torre Annunziata - Oplonti con il suo mare d’argento, il Vesuvio e l’agreste Trecase “…come vitigni acerbi alle spalliere/ ho vincoli tenaci/con questa terra nera vesuviana/.
Una fanciullezza- se pur povera- intrisa di “serate di aringa e cipolle/di pane bagnato condito/. Serate di misere cene/al tepore di mondiglia consumata;/coi lettini già pronti per andarci a dormire/sotto a enormi cappotti…”. Finché la magia ebbe termine e il “fanciullo” diventa d’un tratto adulto, allorquando suo padre “montatore di mulini”, …Alla terza ora di un giorno di dicembre/prendevano nuovi sentieri le voci della sera/e le pioppaie dello Spolettificio/ covavano silenzi drogati/,quando appena imbruniva il Faito/ lasciava in un nodo di luna un intarsio incompleto!” Quanta liricità in questi ultimi versi! Non sentirà più la voce amica del padre- montatore di mulini, poi artista del legno - che durante le serate invernali attorno al tepore del braciere e in compagnia della numerosa prole a consumare la misera cena, “diceva le sue avventure africane” Bisogna, dunque, affrontare la vita sotto un aspetto diverso, ed ecco le responsabilità di “…scugnizzo di provincia/ mi aspettava Milano/per poche lire al mese/da spartire con mia madre/vedova da giorni/. E con la consapevolezza di dover affrontare la nuova vita che s’immerge nel lavoro di metalmeccanico, prima all’Alfa Romeo di Milano poi alla sede di Napoli, per oltre trent’anni, coniugando lavoro e poesia, sempre seguito affettuosamente dalla madre a cui dimostra il suo amore di figlio con innato pudore: Madre: ho solo minute preghiere/serrate nei denti./Ma tu riconosci/la loro concreta pienezza;/tu sai…/sono sempre di poche parole…/ .E dalla sua donna, alla quale dirà…del bene /di quel bene scaturito ai palmeti del lido e consunto sul duro piperno soglia della nostra dimora: Amore di luce!… Il caro ricordo …delle molliche di pane imbevute nell’acqua di lauro, le “ciamfotte” a minestra e il freddo dei “basoli” che taglia le suole e mette geloni…..è alle spalle.
La prospettiva di un futuro migliore è alle porte e gli si apre “…Nel sottile profumo di fresie e viole c’è marzo che canta con tenera voce le nuove canzoni. Una nuova vita,dicevo, vissuta in un clima di poesia, tra il suo lavoro, la sua famiglia, nel suo paese: Trecase, dove…con aghi di pino operose mani contadine imbastiscono le notti a filari di luna…. E la sera codifica segnali luminosi nell’arco iridescente dei vitigni. Tutto un mondo che ancora conserva - al di là del modernismo accentuato - il senso fascinoso delle piccole cose e la poesia dei sapori antichi: “ E spezzeremo il pane di Cristofaro e lo accompagneremo con le noci; ho già spillato il vino, quello nuovo…..e sarà gentile commiato il bacio della luna. In compagnia della sua famiglia, degli amici, e della sua donna, il suo immenso… Amore di luce!…
Fioravante Meo