Una violenta e continua grandinata precipitata inesorabilmente nella mattinata del 30 dicembre del 1939, causò il blocco del congegno per l’azionamento degli scambi ai binari dei treni presso la stazione ferroviaria di Torre Annunziata Centrale provocando una catastrofe di spropositate dimensioni.
Una tradotta militare, proveniente dalla Sicilia, con molti civili a bordo si scontrò violentemente con un convoglio che giungeva, a velocità alquanto sostenuta, dalla parte opposta della strada ferrata.
L’immane sciagura, che fece registrare un rilevante numero di morti fra militari e civili, suscitò un grande scalpore e segnò profondamente l’intera cittadinanza vesuviana.
Dalle macerie, si estrassero più brandelli di persone che salme intere.
I feriti furono trasportati al vicino Ospedale Civile dai numerosi cocchieri della zona e con l’ausilio di carrette d’occasione trainate a mano.
Fu davvero un grave lutto per la cittadina pedemontana già tanto martoriata in quegli anni cruenti. Torre Annunziata, la protagonista di spicco in campo mondiale quale “la Manchester d’Italy” per la fervida attività dell’arte bianca e della siderurgia, piangeva per una grande sciagura.
Tra i morti, furono trovati i resti di una coppia di giovani, probabilmente in viaggio di nozze o in procinto di maritarsi stante il ritrovamento di un abito da sposa nei loro bagagli.
Espletate le limitate perizie del caso, quelle salme furono sepolte, assieme alle altre, nel cimitero locale.
La popolazione, che su quel tragico episodio, aveva fantasticato già tanto, non riusciva per niente a persuadersi dell’accaduto, non si capacitava specialmente per l’atroce destino toccato alla sposina.
Se ne dissero tantissime, all’inverosimile, sino a costruirne di fantasia un vero e proprio mito che avrebbe avuto il nome del nostro personaggio: - Maria ’a spósa. -
Fu d’allora che quelli del popolino, si recavano sempre più frequentemente ad onorare le spoglie della giovane vittima e non tardarono a portale fiori e ad accenderle numerosi ceri.
Trascorsi gli anni necessari dell’usuale sepoltura nella zona comunale si provvide, poi, all’opportuna riesumazione ed i resti della povera sventurata, furono deposti nella Chiesa Madre, in fondo al viale principale del cimitero torrese. Da quell’evento iniziò un vero e proprio culto per la sposa.
Non trascorreva giornata senza che una folla di persone onorasse quegli umili resti messi in esposizione dentro un’apposita teca trasparente.
Andare al cimitero senza effettuare seppure una breve sosta al cospetto della sposina, per molti, non aveva significato. Io pure, negli ultimi anni ’60, ricordo di esserci stato e svariate volte, dapprima come per appagare una disgiunta curiosità, rammento che rimanevo a fissarla di continuo (chi sa per quale motivo non gli chiedevo mai nulla?)
Maria era ormai divenuta molto rinomata nell’ambito del nostro territorio e forse ne sapevano qualcosa anche i forestieri.
Gli anni trascorrevano e una fiumana di persone si recava continuamente presso il suo sacello; la chiesa divenne, così, meta di peregrinazione per tutti quelli che ricorrevano a lei con le più disparate richieste; in particolar modo, le si rivolgevano ragazze in procinto del matrimonio e, particolarmente, quelle maritate che non avevano avuto ancora figli.
Il culto crebbe sempre più esageratamente e ci furono tantissimi miracolati.
Dalla testimonianza dei tantissimi ex voto che continuamente gli portavano se ne desumeva il cospicuo numero di persone esaudite. E non solo ex voto ma copiosi oggetti preziosi o di significativo particolare; un vero tesoro.
Secondo le rivelazioni di alcune voci, si arrivò persino a formulare l’ipotesi per una relativa raccolta di firme da presentare per la richiesta di beatificazione della nostra protagonista ma, stando al parere delle autorità ecclesiastiche, non sussistendone i canoni essenziali per dar corso al relativo processo, si ritenne opportuno zittire la situazione che andava così crescendo a dismisura.
Fu agli inizi degli anni ’70 del secolo scorso, in conseguenza ad un ampio articolo apparso su di un quotidiano di lunga tiratura, che ne scaturì fuori un vero e proprio polverone e di conseguenza si provvide alla definitiva chiusura del culto proibendo, in un secondo tempo, anche l’ingresso all’ossario, presso la cripta della stessa Chiesa Madre. Fu come un lutto cittadino per la stragrande maggioranza del popolino che non voleva accettare le decisioni intraprese dalle autorità competenti. Il tempo riuscì a zittire gli animi con qualche vaga promessa e poi il silenzio totale, quel silenzio di rassegnazione dei deboli arresi davanti all’evidenza dei fatti.
Tale situazione che permane a tutto oggi, ha fatto sì che della sposa non se ne senta più tanto parlare, ma nelle testimonianze degli anziani del luogo, ogni qual volta se ne ricorda la storia, torna palese un sottile richiamo di malinconia. Intanto dopo tormentate vicissitudini e tantissime tribolazioni Maria, la sposa, ha trovato finalmente la pace all’ombra dei grandi cipressi e dorme, adesso dorme il sonno dei giusti.
NINO VICIDOMINI