Nella città vesuviana è stata allestita una camera climatizzata per custodire e studiare i reperti organici e vegetali, come semi, frutti e pane, sopravvissuti all’eruzione del 79 d.C.
Il pane fatto a Pompei, i noccioli di pesca ritrovati intatti a Scafati, i fichi e le pesche carbonizzati sotto la cenere dell’eruzione del 79 d.C. Sono questi i reperti naturalistici, organici e vegetali (erbe, semi, frutti, legni, frammenti di tessuti, ossa e denti di animali, corna, conchiglie) provenienti dalle antiche città sepolte dal Vesuvio, conservati dapprima nei depositi del Museo Archeologico di Napoli che sono stati trasferiti in un’apposita camera climatizzata del Laboratorio di Ricerche Applicate della Soprintendenza speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei.

Dichiara il soprintendente archeologo, Pietro Giovanni Guzzo: «È sempre stato motivo di stupefatta meraviglia la conservazione di esili testimonianze organiche: quasi che la furia della natura abbia voluto risparmiare, più che quanto eretto dall’uomo, piuttosto i propri frutti. Sembra questo uno dei paradossi ai quali la più che bisecolare esperienza nella conoscenza delle antiche città sepolte dall’eruzione del Vesuvio nel 79 d. C. ci ha assuefatti. E dai quali si ricavano sempre nuovi spunti di ricerca e di critica storica».

I reperti ritrovati nelle aree vesuviane sono estremamente delicati, anche perché sono soggetti a carbonizzazione biologica o in alcuni casi a combustione, a seconda delle caratteristiche delle diverse coperture piroclastiche che li hanno conservati. Per questo motivo non devono subire sbalzi di temperatura e di umidità. Devono essere infatti costantemente conservati a una temperatura di 18 gradi centigradi e con il 35 per cento di umidità.
«Questi fragili reperti, una volta riportati alla luce – spiega Anna Maria Ciarallo, direttrice del Laboratorio – corrono il rischio di scomparire, dopo essersi conservati sotto le ceneri e i fanghi vulcanici per quasi due millenni. Attraverso il Laboratorio di ricerche applicate si è provveduto a perseguire il modo di conservazione più consono a garantirne la durata nel tempo, all’interno di una strategia di attività, di opere, di interventi che, in quest’ultimo quindicennio, ha privilegiato la conservazione all’ampliamento degli scavi».

Il Laboratorio, inaugurato nel 1994, è una delle strutture d’avanguardia della Soprintendenza. Istituito con fondi del Consiglio Nazionale delle Ricerche per studiare gli ambienti naturali del 79 d. C. e tutti i reperti ritrovati sui luoghi dell’eruzione, il laboratorio ha intrapreso collaborazioni con numerose università italiane e straniere.
Nella camera climatizzata sono custoditi i reperti venuti alla luce a partire dal 1950 e conservati finora nei depositi di Pompei, Oplontis,oltre ad alcuni campioni provenienti da Ercolano. Da oggi tutti i reperti vengono raccolti insieme in un catalogo unico delle specie vegetali, in cui convergono tutti i ritrovamenti dagli scavi passati e da quelli più recenti.

Tutte le attività a cui il Laboratorio si è dedicato in questi anni sono di tipo conservativo, concentrate principalmente sulla protezione e il restauro dei reperti, soprattutto per la ricostruzione degli ambienti naturali dell’area vesuviana prima dell´eruzione del 79 d.C. Il laboratorio ha condotto anche lavori di recupero degli orti, degli aromi e delle spezie utilizzate a Pompei nel I secolo d.C. A fine maggio è stata inaugurata una mostra documentaria dal titolo “Condimenta et medicamenta: dalla farmacia di casa alla tavola”.

Lo spirito che anima la ricerca e la conservazione di questi materiali viene pienamente espresso nelle parole del soprintendente Guzzo: «Non reputiamo che conservare sia impresa meno nobile dello scavare: solo considerando che non si può degnamente conservare se l’oggetto delle cure non sia stato conosciuto, criticato, ricollocato nel suo contesto originario, paragonato con realtà simili, o difformi, così da comprendere appieno l’animus di coloro che lo eressero. E quegli antichi nostri progenitori vivevano circondati dai frutti di natura che l’eruzione ci ha conservato, e che il tempo ha progressivamente corroso: così che conservarne quanto rimane contribuisce a restituirci, al meglio possibile, l’interezza e l’originarietà del piccolo mondo antico delle città sepolte».
nella foto: una forma di pane carbonizzata ritrovata a Pompei