Siate buoni ancora per un po’! Gesù Bambino è nato, i Re Magi hanno compiuta l’agnizione e per tutti ricomincia il lungo faticoso cammino della
vita.
Anche voi, amici lettori, potete “rompere le righe” e andare in libertà verso il nuovo anno; però, almeno per un po’...
Ci siamo intesi; e, per questo, posso raccontarvi che io, in perfetto spirito natalizio, sulla soglia della Grotta Santa ho intercettato un libro dalla copertina e dalla grafica accattivanti.
È vero, il libro – dal titolo intrigante: “Sillabario napoletano con note di grammatica e poesie in “lingua nostra” di Nino Vicidomini per Ritualia editore” - sarebbe stato destinato a mia figlia, ma in piena serenità, pace e allegria
ho ritenuto che avesse meno urgenza di me di compulsarlo.
Di norma le grammatiche hanno una veste seria e le immagini, quando ci sono, usano un linguaggio ben più descrittivo che evocativo, ma questo
“Sillabario” è arioso e ben illustrato, sì da collocarsi in quel campo della leggerezza in cui la materia è presente in tracce, appena segnata: grazie all’accurato lavoro grafico di Alfonso Desiderio, nel corpo tipografico
gli spazi vuoti e le tonalità di grigio creano movimenti di raffinata eleganza che armonizza con le tavole illustrative disegnate da ViCi (alias Ciro Vittorio) che raccontano di giochi di quando ero ragazzo.
Ma tutto ciò sarebbe vano, ovviamente, se non fosse al servizio dei testi di sognante leggerezza di Nino Vicidomini. Il quale, come ha scritto Angelo Calabrese nella prefazione, «è un poeta memoriale [...] La parola [...] diventa alata nella poesia indocile alle definizioni».
Il libro l’ho mangiato con gli occhi («mangiare con gli occhi» è detto antico, di epoca medioevale, quando si usava la masticazione per memorizzare le parole e si tenevano gli occhi aperti come quelli dei bambini per favorire la comprensione simbolica.
L’estetica in un’opera letteraria ha una funzione importante al fine della comprensione emotiva e intellettuale dell’opera stessa: l’armonia delle forme, in particolare, attiva nell’ipotalamo e nel cervello destro l’invio di stimoli al cervello emotivo) e ha evocato piacevoli ricordi.
Il dialetto in verità mi manca.
Mi era vietato parlarlo, poiché mia madre era insegnante elementare e io dovevo dare il buon esempio!
Eppure, come scrive, presentando l’opera, l’assessore alla cultura di Trecase Raffaele Vitiello, che ha promosso l’edizione di questo libro insieme all’Accademia vesuviana di tradizione etnostoriche: «mai negare le proprie origini.
Parlare scrivere o cantare in dialetto napoletano non è provincialismo» (e, anzi, il napoletano non è una dialetto, ma una delle lingue parlate in Italia; basterebbe ricordare, per convincersene, che Petrarca è venuto a studiare a Napoli!).
E questo Sillabario, allora, è più che degno dell’essere stato inserito fra i testi di un progetto educativo di approccio al dialetto e alla letteratura napoletana rivolto ai ragazzi in età scolare e presentato al pubblico dalla prof.ssa Lina Lupoli presso l’Associazione culturale Logos di Trecase.
Quanto ai giochi, anche questi erano vietati, ma io eludeva la consegna dei miei genitori in quanto ero chierichetto e servivo la Messa e i Vespri nella
chiesa San Francesco di Paola di Largo Grazie in Torre Annunziata.
Il parroco don Antonio Cirillo, detto “patanèlla” per la sua testa calva e il naso
rubicondo, era un uomo santo e colto. Dopo il catechismo, oltre a offrirci le famose liquirizie a barchetta, i confetti cannellini bianchi, i biscotti dono
della Pontificia Opera d’Assistenza, sorvegliava pazientemente i nostri giochi, molti dei quali ViCi ha illustrato: Cavallo muscio / trézza longa, ‘Mpònt’’a luna, ‘O Schiuòppo, mazza e pìvuzo (La Lippa), la Fune.
Nino Vicidomini ha una profonda conoscenza della parola napoletana e della sua sintassi.
Pur trattando rigorosamente di grammatica e sintassi linguistica il testo non solo riverbera la sonorità espressiva (fonema) propria del dialetto, grazie anche alla musicalità del ritmo narrativo, che emerge in modo continuativo e costante, ma anche ha una tessitura originale della trama narrativa (sintagma), elemento difficile da creare in opere siffatte.
L’autore - che è tra l’altro componente dell’Accademia dei 500 di Roma, membro onoris causa della Accademia “Tommaso Campanella” di Roma e dell’Accademia delle scienze lettere ed arti di Milano, e che nel 2007 ha
avuto la medaglia del Presidente della Repubblica Italiana – in questo viaggio nella lingua ha prestato attenzione a un essenziale e coinvolgente micro vocabolario napoletano-italiano.
Chi si ricorda dei franfellìcche (piccoli bastoncini di zucchero caramellato), delle pullanchèlle (pannochie di grano) di spassatiémpo (semi di zucca infornati, ceci e fave tostate), pupatélle (bamboline) e strùmmole (trottola di legno), o di quelle che l’autore chiama parole perdute nella memoria - ‘o muccature, ‘o sosciamosche, ‘a muniglia, ‘o mastrillo?
Nel chiudere questo viaggio con un libro prima portato dormiente nel cuore dell’autore, poi svelato agli altri in modo semplice, voglio rilanciare proprio con una poesia di Vicidomini un’idea ai lettori: diventate poeti! Sarete sempre giovani e immortali!
«Ognedùno è nu poeta ‘a piccerillo,/femminèlla o masculìllo.
Fa ‘a poesia cchiù carèlla ca ce stà,/nun appena riesce a dicere “mammà”».

ANGELO DE FALCO