Blitz contro il clan Gallo, il Riesame scarcera Rocco Limelli. Anche per “Peppe o’ pazz” annullata la misura cautelare
I due cugini erano finiti in manette dopo l’ultima operazione Antimafia del 13 aprile
29-04-2015 | di Salvatore Piro
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La Dodicesima Sezione del Riesame di Napoli ha scarcerato per difetto di gravità indiziaria Rocco Luigi Limelli (44 anni), cugino di Giuseppe Gallo (39), alias “Peppe o’ pazz”, storico boss indiscusso del clan “Gallo-Limelli-Vangone” di Boscoreale. Entrambi, difesi dall’avvocato Ferdinando Striano, erano finiti dietro le sbarre dopo l’ultima ordinanza emessa dal gip del Tribunale di Napoli a carico di quindici persone, ritenute affiliate o contigue alla camorra boschese, ed accusate a vario titolo dalla Dda partenopea di traffico illecito di droga, violazione alla legge sulle armi ed estorsione. Reati, tutti, aggravati dalle finalità mafiose.
“Peppe o’ pazz” (in foto) e Rocco Limelli, inoltre, per il gip Egle Pilla, tentarono di far fuori Raffaele Iovane (53), impegnato nel 2007 con suo figlio Giovanni (34) in una insidiosa scalata al comando del clan. Per questo i due cugini, secondo l’accusa, organizzarono un vero e proprio “raid” punitivo, scampato dalla vittima predestinata rifugiandosi negli uffici della polizia municipale di Boscotrecase. Un episodio per il quale Gallo e Limelli, figlio del fondatore della cosca, hanno respinto da subito, già in sede di interrogatorio di garanzia, qualsiasi addebito.
Il Riesame per ora ha dato ragione ad entrambi, scarcerando Rocco Limelli (così come Giovanni Iovane, difeso dall’avvocato Massimo Sartore, ed accusato insieme al padre di “recuperare crediti” per conto del clan ai danni di alcuni imprenditori di Terzigno e del mantovano).
“Peppe o’ pazz” invece (soprannome datogli anche perché i suoi legali, con diverse perizie, ne hanno spesso provato a dimostrare l’incapacità a stare in giudizio, ndr) resta in carcere a Cuneo, in attesa del verdetto del 4 maggio della Cassazione sulla sentenza d’appello “Pandora-Matrix”. Processo che vede imputate 61 persone. Tra queste anche Giuseppe Gallo, condannato nel 2013 in secondo grado a venti anni di reclusione.
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