BOSCOREALE. Giovanni Colantuomo, il baby-pentito 22enne del Piano Napoli, scelse di collaborare con la giustizia il 7 giugno 2015 per “paura di morire”.  “Ero in pericolo, volevano uccidermi. Da me vennero due sicari, fingendosi carabinieri. Mi accorsi della trappola e non aprì alla porta. Quel giorno decisi di parlare, come aveva fatto mio zio Giuseppe Intagliatore”. Questo il racconto in tribunale dell’ultima gola profonda di camorra, nipote dell’ex affiliato al clan Gionta di Torre Annunziata, che nel 2011 raccontò all’Antimafia di Napoli i suoi legami coi Valentini e lo stipendio da circa 1500euro che ogni mese, puntuale, gli arrivava dalla cosca di via Bertone. Una scelta, quella di Colantuomo, consigliatagli proprio dallo zio: “prima di collaborare con la Dda lo chiamai – ha raccontato ieri ai giudici il 22enne, collegato in videoconferenza - . Lui mi disse di stare calmo, c’era una soluzione: pentirmi. L’ho fatto per paura”.

IL PROCESSO. Giovanni Colantuomo ha reso dichiarazioni spontanee nel processo che lo vede alla sbarra per detenzione abusiva d’armi: una carabina Benteler Vore calibro 22, un fucile mitragliatore calibro 9, una pistola Beretta 34 calibro 9, una pistola Colt 19R U.S. Army, una pistola calibro 9mm Luger, e munizionamento di vario genere. Un arsenale nascosto nel giardino di una scuola, vicina alla propria abitazione, e che lui stesso fece ritrovare ai poliziotti. Il pm Silvio Pavia, della Procura di Torre Annunziata, ha già chiesto la condanna di Gerardo Colantuomo a 4 anni di carcere. Armi usate negli agguati contro gli Orlando: Antonio e Salvatore “Masaniello”, e poi Giuseppe Diana. Le dichiarazioni di Colantuomo hanno già portato ad oltre 30 arresti nelle famiglie a capo delle piazze di spaccio del Piano Napoli di Boscoreale.

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