Boscoreale. “La signora Rita Improta è stata pagata da Annamaria Gallo e Salvatore Gallo per accusarmi della sparatoria in cui rimase ferita al Piano Napoli. Chi me lo ha detto? Mia sorella Milena in un colloquio al carcere. Venne a trovarmi 3 mesi dopo il fatto e mi raccontò tutto”. Parola di Gerardo Colantuomo, il 21enne pentito che da un anno fa tremare i “signori della droga” di via Settetermini.

Il baby-collaboratore della Dda di Napoli ha regalato ai giudici un vero colpo di scena, ascoltato nel processo che lo vede imputato del tentato omicidio delle sorelle Rita ed Argentina Improta. Ventitrè i colpi di pistola, esplosi la sera del 25 luglio 2014 contro un balcone al secondo piano dell’isolato 6 alle palazzine popolari (vedi link correlato, ndr).

IL RACCONTO. “A sparare fu Angelo Cirillo ‘denti bianchi’ – ha svelato ieri Colantuomo - . Io l’ho anche ‘ucciso’ di mazzate, quando a novembre venimmo a fare l’incidente probatorio. Poi in carcere Francuccio Nardiello Tamarisco mi fece arrivare l’imbasciata: lascialo tranquillo”. Maddalena Colantuomo, sorella di Gerardo, avrebbe appreso dei soldi passati ‘sottobanco’ alla Improta in maniera casuale.

“A Milena lo disse L.S., che abita nello stesso portone di Annamaria Gallo. Lui incontrò mia sorella mentre stava prendendo il pane al forno di via Settetermini. Questo lo so da tempo. Non l’ho detto prima perché mi era sfuggito dalla testa”. Usura e tentato omicidio le accuse mosse a vario titolo. Alla sbarra col pentito anche sua madre, Rosa Intagliatore. Secondo l’inchiesta, le sorelle Improta non regolarono un debito coi Colantuomo.

L’USURA. “Ma quale usura? Io mi ‘abbuscavo’ 3mila o 4mila euro in due giorni, vendendo 100 grammi di droga che compravo a 50 euro per rivenderli a 70. Tanto da me tutti dovevano venire. Mi sono accusato di tanti reati – ha continuato il baby-pentito - anche dei borsoni pieni di armi. Ma non mi andavo a prendere 30 o 50 euro, a poco alla volta, dalla signora Improta. Sapete chi ci abita di fronte? Pasquale Buccelli, il cognato di Antonio Orlando. Con loro stavo in guerra dal 2011, mi potevano uccidere. Che mi pigliavo questo rischio per 50 euro?”.

I TATUAGGI. Due tatuaggi sul petto di due giovani amici per la pelle. I simboli di una sorta di patto di sangue: dietro quei tatuaggi si celerebbe la verità sul raid mancato. “Mio nipote Luigi tiene tatuato il nome Antonio sul petto e Cirillo, quello di Luigi - ha continuato Gerardo Colantuomo - . Io non ho sparato, ha sparato l’amico di mio nipote”. L’amico del cuore, alias ‘denti bianchi’, che quando vide quella sera uno dei Colantuomo a terra (A.G.), rimasto ferito ad un piede sotto casa di Annamaria Gallo, avrebbe premuto il grilletto.

LA ‘AUDI’ INCENDIATA. Con la signora Gallo il rapporto sarebbe sempre stato teso. “Le incendiai anche la macchina – così ancora il pentito 21enne - . Una Audi bianca, che stava parcheggiata vicino al bar 'Mario'. Il giorno dopo il 'fuoco' andai al circoletto delle palazzine, dove si incontrano e se la fanno tutti. Io feci pure la battuta: ieri avevo freddo, dissi proprio così. Dovevo pigliare calore”. 

LA DROGA. Eppure, Gerardo Colantuomo frequentava spesso l’abitazione della Improta. “Il crack si deve ‘squagliare’ con l’ammoniaca, fa molto male ai bambini. Squagliavamo a casa di Mario Sarnataro (presunto ‘socio’ del pentito nel business della droga, ndr) al terzo piano. Ma quando veniva la bambina (nipote di Sarnataro) scendevamo al secondo piano, a casa di Rita Improta. A volte le davamo 30 euro per lo ‘scomodo’. Lei ha visto sempre tutto. Una volta si tenne la droga appoggiata in casa”.

 

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