Voti comprati a 50 euro, una cassa comune dei clan e marescialli corrotti. Ricostruita un’autentica associazione per delinquere di stampo camorristico, abbattuta dalla scure della Dda di Napoli. Inchiodati i clan Puca, Verde e Ranucci, egemoni sul territorio di Napoli, precisamente nella zona di Sant’Antimo.

Tra i 59 arresti effettuati, anche un indagato attualmente in Svizzera. Sono 38 le persone finite in carcere, 18 ai domiciliari, 2 obblighi di firma e una sospensione dai pubblici uffici.

Sono tre le associazioni di tipo mafioso contestate: il clan Puca (Lorenzo Puca, Francesco Pio Di Lorenzo, Luigi Puca cl. 95, Antonio Ferriero, Nello Cappuccio, Antimo Puca, Giuseppe Di Domenico, Luigi Puca cl. 62, Francesco Di Spirito, Vincenzo D’Aponte, Giuseppe Garofalo, Teresa Puca e Pasquale Verde), il clan Verde (Agostino Russo, Camillo Petito, Domenico Di Lorenzo e Nicola Puca) e il clan Ranucci (Francesco Scarano, Raffaele Femiano e Alessandro Ranucci).

LE INDAGINI. Le indagini partite nell’ottobre 2016 e concluse nel gennaio 2019, hanno accertato un rapporto ben saldo tra il clan Puca e la famiglia Cesaro, noti imprenditori di Sant’Antimo, attraverso numerosi interessi e partecipazioni del sodalizio mafioso nel centro polidiagnostico “Igea” e nella galleria commerciale “Il Molino”, entrambi con sede a Sant’Antimo, risultate essere società di fatto tra i Cesaro (formali titolari) e il capoclan Pasquale Puca, detto Pasqualino “‘o minorenne”. Esponenti del clan, al venir meno dei pregressi accordi, hanno reagito compiendo un attentato dinamitardo al centro “Igea” (7 giugno 2014) ed esplodendo cinque colpi di pistola all’indirizzo dell’auto di Aniello Cesaro, in sosta presso un autolavaggio (10 ottobre 2015), episodi sui quali le investigazioni hanno fatto piena chiarezza. Ritenuta responsabile del reato di ricettazione aggravata dalla finalità mafiosa anche l’anziana madre di Pasqualino “’o minorenne”: nel tempo ha ricevuto denaro proveniente dai fratelli Cesaro, frutto delle società di fatto esistenti tra gli imprenditori e il figlio.

I VOTI COMPRATI. Accertato anche il condizionamento delle elezioni comunali di Sant’Antimo (sciolto il 20 marzo scorso per infiltrazioni mafiose) tenutesi nel giugno 2017 con voti comprati a 50 euro. Un controllo prolungato anche dopo le elezioni, volta da un lato a far decadere la maggioranza e a mantenere il controllo sul locale Ufficio Tecnico attraverso la conferma nel ruolo di responsabile dell’Ing. Claudio Valentino.

IL CONTROLLO SULLA POLITICA. In tale contesto, le indagini hanno fatto luce su due attentati dinamitardi (20 novembre 2018 e 4 dicembre 2018) indirizzati alle abitazioni di consiglieri comunali di maggioranza al fine di farli dimettere dalla loro carica e così far venir meno il numero legale per il funzionamento del Consiglio e determinarne lo scioglimento. Inoltre, sono stati individuati gli autori di un terzo attentato esplosivo (6 gennaio 2018) in danno dell’abitazione dei familiari del collaboratore di giustizia Claudio Lamino. Svelati atti intimidatori nei confronti di alcuni funzionari dell’utc, al fine di dissuaderli dall’accettare l’incarico di dirigente del Settore Urbanistica comunale. Il controllo sull’ufficio tecnico si è esteso in 4 gare a evidenza pubblica, per un valore complessivo di oltre 15 milioni di euro.

LA CASSA COMUNE E I RAPPORTI CON I CARABINIERI. Dei tre clan criminali, il Gip ha riconosciuto l’esistenza di una cassa comune (c.d. cappello) dei proventi illeciti, per il pagamento di mesate ad affiliati e familiari dei detenuti, ma anche l’esistenza di rapporti illeciti tra due marescialli in servizio presso la caserma di Sant’Antimo e alcuni indagati. Per uno dei due (già sospeso dal servizio all’esito di altra recente indagine) è stata disposta la custodia in carcere e per l’altro, ora in servizio fuori provincia, la misura dell’interdizione dal pubblico ufficio. Il primo risponde dei reati di rivelazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento, mentre il secondo del reato di favoreggiamento, aggravati dall’aver agevolato le attività illecite dei clan Puca e Verde.

I SEQUESTRI PREVENTIVI. Contestualmente ai provvedimenti restrittivi, è stato notificato anche un decreto di sequestro preventivo di beni mobili ed immobili per un valore stimato di 80 milioni di euro. Si tratta di 194 unità, tra civili abitazioni, uffici, magazzini, autorimesse, nonché di 27 terreni (tutti ubicati tra le province di Napoli, Caserta, Frosinone e Cosenza), 9 società e 3 quote societarie, 10 autoveicoli e 44 rapporti finanziari. Tra i beni immobili spicca la galleria commerciale di Sant’Antimo “Il Molino”, con oltre 90 locali adibiti ad esercizi commerciali ed uffici.

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