TORRE ANNUNZIATA. Due inchieste antimafia, due processi, tre gradi di giudizio svolti, ma nessun mandante per l’omicidio di Natale Scarpa, il 73enne ras dei Gallo-Cavalieri ucciso il 14 agosto 2006 all’esterno dello stadio “Giraud”. Per i giudici, c’è solo chi “fece la battuta”, ovvero Giuseppe Coppola, condannato all’ergastolo: indicò ai killer il luogo dove colpire. E’ il “rompicapo” attorno al quale ruota una delle più complesse vicende giudiziarie, con al centro la spietata faida di camorra tra il clan Gionta e la cosca rivale del boss Vincenzo “caramella”, figlio dell’anziano “zì Natalino”, trucidato per vendetta in piazzale Gargiulo (vedi link correlati, ndr).

La faida, tra il 2006 e il 2007, insanguinò la città di Torre Annunziata con 4 omicidi consumatisi alla luce del sole. Aldo Gionta, accusato dalla Dda di Napoli di aver ordinato il massacro di Natale Scarpa, è stato assolto “per mancanza di prove”. La stessa sorte toccò il 18 giugno 2011 al fratello del “boss-poeta”, Pasquale “o’ chiatto”, condannato in primo grado come mandante dell'omicidio, e poi scagionato in Appello.

COLLABORATORI “INATTENDIBILI”. Un filo conduttore lega le due inchieste: il ruolo chiave delle dichiarazioni dei pentiti del clan Gionta. Contributi fondamentali per l’Antimafia, ma “discordanti” secondo i giudici. Ad accusare nel 2011 Pasquale Gionta furono Aniello Nasto “quarto piano”, Michele Luppo, Carmine Martusciello, e Vincenzo Saurro “sciabolone”: “un regolamento di conti per punire l’affronto subito con gli schiaffi dati da Natale Scarpa a Valentino junior”, la loro versione agli inquirenti. Racconti privi di “elementi diversi rispetto a quelli del dichiarante”, per i giudici della terza sezione della Corte d’Assise d’Appello di Napoli: Pasquale “o’ chiatto” assolto. 

Le stesse lacune investigative avevano portato ad archiviare le posizioni dei due presunti esecutori del delitto, Giovanni Iapicca, alias “Rangetiello” (già condannato all’ergastolo per il duplice omicidio De Angelis-Genovese) e Francesco Amoruso, soprannominato “a’ vicchiarella”. Fragili, per il gup del Tribunale di Napoli, anche le accuse mosse ad Aldo Gionta nel processo-bis sull’agguato. A parlare ai pm della Dda, stavolta, il neo-collaboratore di giustizia del clan, Michele Palumbo “monnezza”, e l’ercolanese Francesco Raimo, alias “o’ castellone”, pentito dei Birra-Iacomino ed ex compagno di cella del “boss-poeta”.

IL PENTITO PARLA, IL CLAN AMMAZZA. Ad ammettere il suo coinvolgimento nell’omicidio Scarpa, invece, è stato il pentito Aniello Nasto (condannato ad otto anni). L’ex killer del clan Gionta iniziò a collaborare il 18 settembre 2007. La risposta dei Gionta non tardò. Meno di tre mesi dopo, il 9 dicembre, i sicari della cosca entrarono in azione all’interno del bar “Crystal”. Fu una domenica d’Avvento segnata dal sangue sulle tazzine di caffè: tre pallottole alla testa, a morire è l’ambulante Alfonso Nasto, il 39enne fratello di Aniello.

Il pentito sapeva perché, lo raccontò un mese dopo: “Temo che possano entrare in azione Umberto Onda e Michele Palumbo – così Aniello "quarto piano" agli inquirenti l’8 gennaio 2008 - . Facevano parte della mia squadra…abbiamo commesso omicidi assieme”. La “squadra” strinse un patto: “avevamo giurato di non tradirci mai…se qualcuno avesse collaborato con la Giustizia i suoi parenti sarebbero stati ammazzati”. Aniello Nasto violò il patto. Tre mesi dopo, il clan gli ammazzò il fratello al bar.              

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