“La mia famiglia, i miei nipoti, i miei figli sono tutti nati qui in Italia. Ci rendiamo conto che viviamo in una struttura abusiva ma cosa possiamo fare ora? Non possiamo andare in mezzo a una strada”.

E’ il grido disperato di Safet, un cittadino di origine serba di 52 anni che prova a scongiurare l’ipotesi dello sgombero dall’area dell’ex scuola Morrone di Torre Annunziata. Assieme a moglie e figli ha dovuto patire un primo sfratto dal campo rom di Largo Macello, prima dell’inizio del nuovo incubo. “Erano trent’anni che vivevamo lì e non davamo fastidio a nessuno – continua Safet -. Non possiamo andar via di qua perché non abbiamo un’alternativa”.

Ma c’è dell’altro. Safet e la sua famiglia non è alle prese soltanto con l’ipotesi di sgombero. “Proprio stamattina è arrivata la sentenza di condanna a pagare una multa per le opere abusive che sono state costruite qui. Non so come pagarla”. Si tratta di una pena pecuniaria di 9mila euro in aggiunta alla demolizione delle opere abusive realizzate nella sua attuale residenza di via Molini a Vapore, con conseguente ripristino dei luoghi. Safet, che per guadagnarsi da vivere realizza alcune opere di pulizia a spazi verdi e giardini della chiesa di San Michele Arcangelo a Piano di Sorrento, ora non sa come fare.

Dopo lo sgombero di Largo Macello di due anni fa, ciò che temono maggiormente le famiglie del campo rom della Morrone è il mancato accompagnamento dell’amministrazione comunale nel reinserimento sociale delle persone che attualmente vivono nel quartiere abusivo. “Abbiamo provato anche a cercare un affitto da qualche parte – conclude Safet – ma appena ci vedono, poi con una scusa ci liquidano e non si fanno più sentire”.

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