Cannibalizzavano le auto e le nascondevano in luoghi sicuri prima di rivenderle ad acquirenti compiacenti.

Emergono i primi particolari dell’inchiesta condotta dalla Procura di Torre Annunziata che questa mattina all’alba ha dato esecuzione un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 17 persone, gravemente indiziate a vario titolo in ordine ai reati di ricettazione, riciclaggio ed estorsione.

Per tre di loro (uno era già in cella) è stato disposto il carcere, quattro sono agli arresti domiciliari, altri 10 hanno ricevuto l’obbligo di dimora. In due sono sfuggiti alla cattura, al momento attivamente ricercati e quindi latitanti.

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I carabinieri di Torre Annunziata hanno smascherato un’imponente rete di autoveicoli rubati. A capo c’era una persona, che di volta in volta si avvaleva di altre persone per procacciare ed occultare in luoghi sicuri veicoli di illecita provenienza. In seguito le auto erano sottoposte a operazioni di trasformazione e modifica dei dati identificativi, in modo da poterli rivendere ad acquirenti compiacenti ovvero destinarli al mercato illecito dei ricambi.

Due i mesi d’indagine, tra settembre e ottobre 2020, in cui i carabinieri, attraverso una serie di attività di intercettazione di conversazioni telefoniche, pedinamenti e riscontri documentali, hanno raccolto gravi indizi di colpevolezza e ricostruito ben 23 episodi di ricettazione e riciclaggio di autoveicoli, dalle utilitarie ai SUV di elevato valore commerciale. Nella maggior parte dei casi le auto venivano private dei dati identificativi originali e rivenduti a committenti ritenuti consapevoli della provenienza illecita dei mezzi. Tra i destinatari del provvedimento cautelare figura anche il titolare di un'autoconcessionaria.

Tutto avveniva in poche ore. Dal tenore di alcune conversazioni intercettate, si è avuto modo di comprendere che alcuni veicoli erano destinati a commettere attività illecite, e che pertanto erano stati commissionati da persone interessate a disporre, per un breve lasso di tempo, di un mezzo in nessun modo a loro riconducibile, da dismettere subito dopo.

In taluni casi sono state accertate vere e proprie trattative di acquisto, nel corso delle quali gli indagati facevano riferimento al prezzo del veicolo, di gran lunga inferiore a quello correntemente praticato sul mercato lecito. La vettura doveva essere “incidentata” nascondendo quindi con tale indicazione il fatto che si trattasse di un mezzo rubato. In un caso gli indagati hanno praticato il cosiddetto “cavallo di ritorno” arrivando a chiedere 1.200 euro per restituire una vettura a una vittima.

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