“La grandissima assente di questo processo è la logica. Secondo l’accusa i carabinieri avrebbero stretto un patto scellerato con il boss Casillo per arrestare i criminali e condurre brillanti operazioni. Siamo al limite della fantascienza. Gli imputati sono militari esperti con una carriera avviata. Non avevano bisogno di lui per mettere in cella i delinquenti, ci riuscivano benissimo da soli”.

A dichiararlo è l’avvocato Russo, difensore di Gaetano Desiderio, il carabiniere a processo insieme ai colleghi Sandro Acunzo e Pasquale Sario con l'accusa di avere stretto un patto criminale con Francesco “A Vurzella” Casillo, boss del Piano Napoli di Boscoreale. Questa mattina, al Tribunale di Torre Annunziata, l’ennesima udienza per fare luce sulle responsabilità dei tre ‘carabinieri infedeli’ che – secondo l’Accusa – avrebbero tradito la divisa e lo Stato.

Fari puntati sul sodalizio criminale nato quindici anni fa e venuto a galla proprio grazie a Francesco Casillo, testimone chiave del processo. Soldi, soffiate e favori. Secondo l'Antimafia il patto scellerato avrebbe consentito ai militari di condurre brillanti operazioni anti-crimine e di controllare, insieme al boss, le piazze di spaccio del Piano Napoli. Una tesi fermamente sostenuta dal Pubblico Ministero, Ivana Fulco, che ha chiesto quindici anni per Sario e Desiderio e diciotto anni per Acunzo. I carabinieri sono accusati di concorso esterno in associazione di tipo mafiosa finalizzata al traffico di droga.

“Il Casillo è stato dichiarato più volte inattendibile. Si tratta di un soggetto borderline e bipolare che andrebbe valutato sul piano psichiatrico – continua l’avvocato Russo - Dobbiamo renderci conto che abbiamo affidato le vite dei tre imputati nelle mani di una persona poco credibile. Dal 2012 sino ad oggi è stato in più occasioni contraddittorio e bisogna prenderne atto. Dovrebbe farlo soprattutto il Pubblico Ministero, che ha l’orologio bloccato all’ordinanza di custodia cautelare”. 

L’avvocato Russo non usa mezzi termini e accende i fari sulle innumerevoli contraddizioni del Casillo. Dal suo rapporto con i soldi alle dichiarazioni ritrattate. Secondo la difesa sarebbe proprio la megalomania del boss a dimostrare la sua poca attendibilità. “All’epoca avete affidato le indagini alla compagnia di Torre Annunziata. A nessuno è venuto il sospetto che la decisione fosse illogica? Eppure in quel periodo era in corso una guerra tra il capitano Toti e gli imputati. Le indagini hanno fatto emergere una conflittualità interna che è doveroso evidenziare oggi. Ci siamo concentrati sul particolare, dimenticando l’universale”.

Tema centrale del processo la consegna al boss Casillo di una parte di un carico di cocaina sequestrato nel porto di Napoli. Nell'ambito di quell'operazione Acunzo e Desiderio avrebbero dovuto portare le borse contenenti la droga al comando provinciale, ma invece si recarono alla caserma di Torre Annunziata. Inoltre in quell'occasione ci fu un susseguirsi di comunicazioni sbagliate sul peso effettivo dello stupefacente. Anomalie che secondo l'accusa proverebbero la responsabilità dei militari.

Le discussioni finali degli avvocati difensori Marino, Russo e Sorrentino chiudono il cerchio. Dopo quindici anni e oltre settanta udienze il processo volge al termine. Sentenza fissata al 18 luglio.

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