“Lo visitai e gli diedi un antidolorifico. Fu lui stesso, Giosuè D’Amora, a chiederne la somministrazione. Poi io gli domandai per tre volte, lei sta meglio? Come si sente? Il paziente steso sul lettino rispose di sentirsi bene. Lui voleva tornare a casa. Altrimenti non l’avrei mai dimesso”. Si difende così ora, con dichiarazioni spontanee rese al processo che lo vede imputato per omicidio colposo, C.L., il medico dell’Ospedale ‘San Leonardo’ rinviato a giudizio per il sospetto caso di malasanità vissuto il 3 febbraio 2013 a Castellammare di Stabia. A morire nella notte fu Giosuè D’Amora, nemmeno cinquantenne, volto noto e cugino omonimo del sindaco della vicina Santa Maria la Carità.

IL PROCESSO. Per il pm della Procura della Repubblica di Torre Annunziata, Barbara Aprea, il medico avrebbe dimesso con ‘leggerezza’ quel paziente, giunto la mattina in ospedale con dolori all’addome e un quadro clinico già complicato. D’Amora aveva subito in precedenza un trapianto renale. Gli fu fatta un’ecografia. Poche ore dopo tornò a casa. Ma quel dolore addominale non passò. Anzi.

“Guardavo l’ecografia a casa nel pomeriggio – ha dichiarato in aula, al giudice monocratico Paola Cervo, Teresa Sansone, la vedova D’Amora costituitasi parte civile - . Alzavo gli occhi e vedevo mio marito che non stava bene. Lui era il debole della famiglia e ricordo che le sue sorelle chiamavano a casa di continuo per chiedere come si sentisse. Io sono ignorante. Lessi l’ecografia e mi misi a cercare su internet quella scritta che diceva ‘falde liquide’’.

In preda al dolore, Giosuè D’Amora tornò la sera stessa all’ospedale. Ore 20:35 circa. A visitarlo un altro dottore, D.A., del reparto di chirurgia e pronto soccorso dell’Ospedale ‘San Leonardo’ ed estraneo alla vicenda penale. Per l’inchiesta lui avrebbe fatto tutto il possibile per salvare la vittima: “Quella sera ero di turno dalle 20 alle 8, il classico notturno – ha affermato il dottore in Tribunale – . Arrivò il paziente, lo visitai palpandolo. Aveva un addome acuto, duro, resistente, un dolore serio. Ordinai ecografia e radiografia, poi il radiologo fece fare pure una tac. Mi portarono i referti. D’Amora aveva un quadro perforativo intestinale. Ordinai subito l’intervento ma non operai, il mio compito finiva lì. Se conoscevo fosse un trapiantato? L’ho saputo solo dopo”.

Operato d’urgenza Giosuè D’Amora morì dopo due giorni. Sarà ora il processo a stabilire eventuali responsabilità e profili di colpa medica per il decesso del cinquantenne. Alla prossima udienza del giudizio, partito solo dopo la riesumazione della salma perché si svolgesse l’autopsia disposta dalla Procura della Repubblica di Torre Annunziata, sarà la volta dei consulenti dell'accusa.   

 

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