CASTELLAMMARE. “Quando entrai nello stanzino del codice rosso dissi solo: qui non c’è più nulla da fare, il paziente è già morto. Andai in stanza intorno all’ 1:27. Dentro c’era la dottoressa Petrone col pallone respiratorio in mano, ma non lo usò. Ormai era inutile”. E’ il racconto choc in Aula del medico rianimatore dell’ospedale “San Leonardo” Domenico Verdoliva, che ieri ha testimoniato al processo in corso al Tribunale di Torre Annunziata sulla tragica scomparsa di Catello Esposito, il 41enne fiorista della ‘Caperrina’, stroncato da un arresto cardiaco su un lettino dell’ospedale stabiese nella notte tra il 12 e il 13 agosto 2012.

Alla sbarra per omicidio colposo c’è Antonio Finizio: unico dottore del pronto soccorso del “San Leonardo”, imputato dal pm della Procura della Repubblica Barbara Lauri per la fine di Esposito. Per l’accusa, Finizio avrebbe infatti “sottovalutato” la situazione. “Il dottore era nello stanzino accanto al letto di un altro paziente – ha continuato Verdoliva – e il fratello di Esposito, comunicatogli il decesso, si avventò su di lui che era di spalle con un attrezzo in mano. Uno degli strumenti ambulatori che si usano nella stanza del codice rosso. Cercai di afferrarlo da dietro, poi si calmò buttandosi a terra. Era distrutto dal dolore”.

Catello Esposito aveva una bimba di soli 5 anni. Viveva in un’umile casa con sua moglie Maria Manzo, la prima a soccorrerlo quella tragica notte. “Aveva un dolore fortissimo al petto. Per evitare di fare tardi chiamai mio cognato, suo fratello. Prendemmo l’auto e di corsa andammo all’ospedale” - ha raccontato la donna al giudice nelle precedenti udienze - . Anche ieri la vedova, difesa dall’avvocato Alfonso Piscino, e costituitasi coi cognati parte civile a processo, ha ascoltato singhiozzando la testimonianza choc in Tribunale.

“Le urla in corsia – ha concluso Verdoliva – iniziarono quando la dottoressa Petrone visitò il paziente, uscendo dalla stanza due minuti prima del mio arrivo”. Sul collo e sul torace di Catello Esposito - per l'inchiesta - forse già un quarto d’ora prima erano comparse macchie da ristagno del sangue. “Il paziente era pallido, non respirava bene. Gli facemmo un tracciato, poi provammo un difficile allaccio venoso. La vena non pompava, l’ago non prendeva ed Esposito peggiorava. Stava collassando” – quanto riferito invece in Aula dall’infermiere, oggi in pensione, che 3 anni fa provò invano a salvare la vita al fiorista - .

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