CASTELLAMMARE DI STABIA. "Non chiedevo di trattare direttamente io le indagini sulle persone che conoscevo". Ha provato a difendersi, ieri mattina, Raffaele Piccolo, il poliziotto stalker dei vip di Castellammare di Stabia, accusato di aver perseguitato professionisti e addirittura il calciatore Fabio Quagliarella e l'artista Guido Lembo.

L'ACCUSA. Tutti i personaggi finiti nel mirino di Piccolo - la tesi degli inquirenti - ricevevano finte accuse e foto ritoccate che arrivavano via mail ed sms. Poi, fingendosi loro amico, il poliziotto li contattava con una scusa, promettendo di risalire all'artefice del tutto e riuscendo così ad ottenere in cambio numerosi benefit. Lettere, messaggi, insulti di ogni genere, minacce di morte per i parenti e foto false che ritraevano il malcapitato con i bambini: era questo ciò che usava Piccolo per intimidire Quagliarella (il bomber è parte civile a processo così come il padre, Vittorio, ndr) e gli altri caduti nella sua rete. Le vittime finivano per essere costrette a rivolgersi ad un esperto di indagini telematiche come lui.

A quel punto - secondo i pm - Piccolo diventava amico delle vittime, costruiva altri episodi condendoli con 'verità' e cercava di ottenere benefici tra cui anche una vacanza a Capri pagata da un imprenditore. Scioccante la testimonianza ai giudici rilasciata proprio dall'ex centravanti del Napoli. "De Laurentiis mi mandò via solo per le lettere che parlavano dei miei festini a suon di droga con la camorra - così Fabio Quagliarella lo scorso 14 gennaio - . Prima mi chiamava ogni giorno. Dopo le calunnie, spedite tramite lettera in sede a Castelvolturno nel 2010, il presidente mi disse di andare a vivere in albergo, lasciando Castellammare per stare più tranquillo. Poi non mi ha mai più telefonato".

"NON SO"-"NON RICORDO". Ieri mattina è toccata invece a Raffaele Piccolo. Il presunto poliziotto stalker ha raccontato la sua versione dei fatti, dopo un lungo processo e le tante accuse mosse nei suoi confronti. Piccolo è stato interrogato dal pm Barbara Aprea, dal giudice Ernesto Anastasio e da tutti gli avvocati di parte civile, prima che i suoi legali gli facessero qualche domanda per provare a smontare la tesi accusatoria. Il suo racconto è stato pieno di "non so" e "non ricordo", con qualche contraddizione puntualmente evidenziata dai legali delle vittime. Dopo quasi quattro ore, la piccola aula penale del tribunale di Torre Annunziata si è svuotata. Il processo proseguirà ancora con i testimoni di difesa e, entro fine anno, con la sentenza.

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