“Che non sia morto invano”. Titolava così il numero cartaceo de “Lo Strillone” nel novembre del 1996. Il 23 novembre di quell’anno, attorno alle 18,30, du malviventi a volto coperto, entrarono nel negozio di Raffaele Pastore e lo trucidarono a colpi di 7,65. Nell’occasione rimase ferita anche la madre Antonietta Auricchio.

L’esercente di Torre Annunziata fu punito per aver denunciato alle forze dell’ordine il racket. Aiutò infatti la polizia a far arrestare il suo estorsore, Filippo Gallo, che era affiliato al clan Gionta. Una storia vecchia 26 anni, ma quanto mai attuale.

Il nostro giornale raccontò con gli scatti fotografici di Salvatore Gallo e le parole del direttore Filippo Germano il funerale al quale partecipò il compianto sindaco di Torre Annunziata Francesco Maria Cucolo e ovviamente la moglie Beatrice Federico. Oggi è diventata un simbolo di legalità a Torre Annunziata, ma dure sono state le sue accuse contro chi ha lasciato sola lei e la sua famiglia. “Lello era solo nella sua denuncia – ha affermato nella scorsa commemorazione- E’ stato un peccato non averlo potuto vivere per più tempo ha continuato la vedova Federico -. La sua presenza poteva essere importante anche da vivo, non solo attraverso il suo gesto. La sua denuncia non era altro che l'affermazione della sua personalità. Un uomo brillante che avrebbe potuto dare tanto alla città. Il suo amore però ci è stato sottratto. Nonostante questo ho cresciuto figli cercando di ricostruire pezzetti della nostra storia”.

I figli Salvatore, che all’epoca di anni ne aveva 7, e Giuseppe Federico, che ne aveva solo 2, sono cresciuti senza un padre a causa di una spedizione punitiva della camorra. Ma Raffaele Pastore non è mai morto nel cuore di chi lo conosceva bene.

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