Gemellaggio tra Cortodino di Torre Annunziata e il “Best of International Short Films Festival” di La Ciotat, in Francia. Il legame tra le due città, siglato anni fa, si rivitalizza grazie alle esperienze dei due festival di cinema indipendente. Nei giorni scorsi infatti il direttore artistico di Cortodino Filippo Germano è stato invitato in Francia da Turi Finocchiaro, direttore del festival transalpino, per siglare l’intesa tra le due manifestazioni. A novembre, in occasione della prossima edizione di Cortodino, una delegazione francese sarà ospite della rassegna oplontina.

Da una parte Torre Annunziata quindi, che ha dato i natali a Dino De Laurentiis, il più grande produttore cinematografico di tutti i tempi e dall’altra La Ciotat, cittadina che ha visto all’opera i fratelli Lumiere con il famoso film “L’arrivo di un treno alla stazione” tra i primi esperimenti cinematografici della storia. Riportiamo in basso il racconto del viaggio di Filippo Germano, direttore di Cortodino Festival.

 

Sono stato a La Ciotat, città gemellata con Torre Annunziata, per parlare di cinema dove il cinema è nato. Cose di amicizie tra direzioni artistiche con passione comune, condivisione culturale e promozione delle opere cinematografiche di giovani registi. Pensavo di andare in terra straniera e invece mi son sentito subito a casa mia. Il mare, quello splendido della Provenza dei fiori di lavanda, è solo la parte nord del Mediterraneo che a sud bagna anche Torre Annunziata; entrambe le città guardano in faccia il sole a mezzogiorno. Questa striscia di terra è una sorta di incrocio, un meticcio tra due città. E’ come se gli immaginari Dei di Castellammare di Stabia e di Torre Annunziata si fossero accoppiati concependo questa ridente cittadina di trentamila anime posta a trenta minuti di auto da Marsiglia.

Qui operano i cantieri navali che prima della guerra occupavano migliaia di operai, poi il mondo che cambia, e poi storie di imprenditori e politici fanfaroni e disonesti che hanno preso dallo Stato e mai dato, un po’ come da noi al sud. Lunghe storie di lotte per il lavoro, occupazioni, anni di occupazione mi hanno detto, gente tosta qui, una classe operaia resistente dove il personaggio interpretato da Gian Maria Volontè sarebbe di casa grazie anche all’accento del cognome. Poi il tempo scorre e le scelte politiche e imprenditoriali mandano la cantieristica navale   all’inferno, altro che paradiso, per dare spazio all’Eden marittimo dell’alta cantieristica da diporto. Le barche dei ricchi vanno per i mari, mi informano, ma si fanno con meno forza lavoro locale.  

Insieme ad un gruppo di ospiti del  “Best of International short films festival” percorro le stradine del centro storico e mi raccontano la nascita e le vicende storiche della cittadina e poi la guida, uno stravagante e simpatico signore di colore vestito con un abito a metà strada tra Peter Pan e Robin Hood,  mi parla delle “rue” dedicate a giovani eroi morti nel 1944, mi racconta le storie di questi partigiani massacrati dai nazisti, racconti di caduti  in difesa di quella “Libertè” che si trova  al primo posto nella scala dei valori francesi, subito seguita dall’Egalitè e dalla Fraternitè. E qui la guida mi sorprende perché dopo una breve introduzione in francese rende omaggio ai caduti iniziando a cantare: “El pueblo unido jamas sera vencido...”. E noi tutti a intonare con lui tra le stradine che scendono verso il mare. 

C’è tanta Italia qui, c’è sempre stata fin da quando i Celti-Liguri la fondarono, poi tante altre storie di immigrazioni e accoglienze, di Galli prepotenti, Roma che interviene con la sua forza e stabilisce la pace in questo angolo di terra lontano dalle strade importanti. I Liguri hanno lasciato qui l’arte di fare barche, e i tanti piccoli gozzi da pesca agli ormeggi, fieri, belli e affidabili, sono tutti italian style.  

Camminiamo e mi presentano al volo ai miei connazionali che incontriamo, saluti italiani, sorrisi tricolori che vengono fuori da incontri casuali o da gelaterie, pizzerie, ristoranti. Il buon cibo italiano va forte, ma qui trovano spazio anche cucine del Vietnam, del Marocco, persino del Messico e di altri Paesi del mondo. Cucine multietniche.

 Alla fine arriviamo al circolo “Renaissance”: era il luogo dove si radunavano i comunisti all’epoca dell’occupazione nazista. Un luogo di Resistenza. All’ingresso ti accoglie la targa in ottone del PCF, Partito Comunista Francese. Dentro, un dipinto di Che Guevara ti ringiovanisce il cuore. Si mangia alla buona, senza fronzoli, si dà più spazio allo stare insieme. Oggi qui si fa resistenza culturale, moderna, intelligente, creativa e non a caso è la sede operativa del festival che mi ha invitato.

Qui a La Ciotat ci sono arrivato col treno e già da Marsiglia mi sono calato nei panni di un viaggiatore di quel lontano giorno del 1895. La locomotiva   rallenta, sento lo stridio dei freni, lo sbuffo del vapore, l’arresto delle ruote. Scendo e vedo due strani signori in giacca e cravatta dietro un’enorme strumento con un obbiettivo, da lontano qualcuno chiama uno dei due: “Monsieur Lumiere!”.  Mi volto. Il presente mi colora in un attimo quel mondo bianco e nero e sul muro della stazioncina scorgo una targa in marmo e due grosse foto raccontano dell’invenzione che per me fa rima con emozione.

Viene sera. E’ una magia stare all’Eden Theatre, la più antica sala di cinema al mondo, dove guardi i film e avverti che i fratelli Lumiere sono seduti al tuo fianco.  I miei cari e affettuosi amici del “Best of International short films festival”, Turi e Nathalie, mi chiamano per un saluto.

Mi scorrono parole di elogio per la loro cittadina, solare, tranquilla e fresca come la lavanda. Parlo di Cortodino e di Dino De Laurentiis, ma ci ficco dentro anche Torre Annunziata e Oplontis. Mi fermo di tanto in tanto, per dare tempo a Nathalie di tradurre. Poi racconto di Gioacchino Murat, l’omaggio della città nel cambiare nome, Gioacchinopoli, in onore del Re di Napoli, e di un quartiere che da allora, dal 1810, si chiama ancora oggi “Quartiere murattiano”. Ho fatto centro. Lo stupore nei loro volti è evidente, speravo di aver stimolato il noto orgoglio francese e ci sono riuscito, sorridono compiaciuti e si scambiano opinioni. Sono incuriositi e questo è importante. Mi prendo il mio bello e forte applauso francese con la consueta felicità di aver fatto qualcosa di semplice, ma buono e giusto per la mia terra vesuviana.

Si spengono le luci in sala, monsieur Lumiere al mio fianco con i suoi baffi di fine Ottocento e il vestito elegante di stoffa pregiata mi stringe la mano con forza e mi accenna un sorriso. W il cinematografo, l’esperanto dei popoli, la “maison des rèves”.

Filippo Germano

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