Torre Annunziata. “Pizzo a rate” - perché il clan è ormai con “l’acqua alla gola” - e soldi facili da estorcere ad almeno 6 titolari di bar, pasticcerie e negozi di abbigliamento cittadini: contro i Gionta, arrivano sette condanne in appello. Anche per le donne della cosca. Si tratta di Teresa, la sorella di Aldo il “boss poeta”, Francesca Donnarumma ed Anna Paduano, sorella invece del baby-ras Salvatore. Secondo i giudici, con i capiclan da tempo al 41-bis, le tre donne erano le nuove “cassiere” di via Bertone.

LA SENTENZA. I giudici della settima sezione della Corte d’Appello di Napoli hanno inflitto pene per complessivi 47 anni di carcere. Quattro in meno rispetto alle condanne di primo grado. Associazione camorristica ed estorsione aggravata dalle finalità mafiose, le accuse mosse dai pm della Dda partenopea e non soltanto a carico di Teresa Gionta. Proprio la sorella di Aldo il “boss poeta ribelle”– difesa dagli avvocati Roberto Cuomo e Nicolas Balzano – ha ottenuto un leggero “sconto”: da nove ad otto anni di reclusione.

Confermati in toto invece i 6 anni di carcere a testa, già inflitti nel maggio 2015 a Francesca Donnarumma ed Anna Paduano (difese dagli avvocati Balzano e Giovanni Tortora). Leggera riduzione della pena anche per Michele Guarro (da nove ad otto anni, assistito dal legale Giuseppe De Luca) e Benito Cioffi (da cinque a quattro anni). Il solo Cioffi, difeso dall’avvocato Ferdinando Striano, in primo grado era stato assolto dall’accusa di aver agito per il clan.

Felice “peracotta” Savino e suo figlio Pasquale, infine, sono stati condannati rispettivamente ad otto e sette anni di galera. Il primo, 56 anni, già dietro le sbarre per associazione di stampo mafioso, assistito dal legale Roberto Cuomo ha ottenuto lo “sconto” di un anno. Così come Teresa Gionta.      

L’INCHIESTA. I soldi pretesi dai Gionta, "quasi a modiche rate”, servivano a “pagare gli avvocati oltre a stipendiare i parenti degli affiliati in galera”. Capitali da raccogliere in qualsiasi modo, gestiti dalle nuove cassiere “in gonnella”. In pratica, la frontiera due punto zero della camorra. Il blitz contro il clan scattò nel 2014. Vi sfuggirono proprio gli ex reggenti dei Gionta: “Aldulk il ribelle” e suo figlio Valentino junior, entrambi condannati in uno stralcio del processo principale a quattro ed otto anni di carcere.

Secondo le indagini – coordinate dall’antimafia di Napoli – a gestire il giro di estorsioni sarebbero stati Salvatore Ferraro, alias “’o capitano”, e Vincenzo Amoruso “’a vecchiarella”. Amoruso, secondo la ricostruzione degli inquirenti, riuscì anche ad evitare il racket imposto dal clan ad un “imprenditore amico”.

Ma le accuse contro i due caddero il 27 maggio 2015: Ferraro ed Amoruso (difesi dagli avvocati Elio D’Aquino e Maria Macera) vennero infatti assolti in primo grado. Almeno loro, secondo i giudici, non tentarono di estorcere perfino una “bottiglia di champagne” al titolare di un noto bar della zona nord di Torre Annunziata. La bottiglia sarebbe poi servita ai Gionta per festeggiare il Capodanno.  

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