“Almeno non hanno sofferto”. E’ la consolazione del giorno dopo in una città devastata dal dolore, disorientata dalla sofferenza e alla ricerca di un perché. Pochi attimi, un boato e un palazzo di quattro piani che si accartoccia come un gigante di cartapesta. In pochi secondi ingoia le vite di otto persone, proietta lontano il ricordo di chi li conosceva e tiene la comunità torrese come sospesa in una bolla.

Francesca Galasso è una bella ragazza dai lunghi capelli neri. Il suo sorriso è spento. Tra le mani tormenta il cellulare in cui ci sono le foto del suo Marco. Marco è Marco Cuccurullo, 27 enne, un “vulcano di vita”, amante delle feste e appassionato di fuochi pirotecnici tanto da farne diventare un lavoro. Francesca piange e si dispera. Lo fanno anche i suoi amici. Un gruppo vero, lontano dalle idolatrie social, ma che sui network pubblica foto di feste e divertimento. Marco era tornato alle cinque del mattino. Aveva fatto tardi con gli amici di sempre. Forse era nel pieno del sonno quando il suo palazzo è crollato.

Nella stanza accanto dormivano anche Giacomo Cuccurullo e Adelaide Eddye Laiola. Lui architetto, responsabile per conto dell’amministrazione comunale proprio delle situazioni che riguardavano la staticità degli edifici. “Non posso credere che un professionista come Giacomo, se solo avesse avuto il sentore di mettere in pericolo la sua famiglia, non sarebbe intervenuto” ripeteva un collega all’esterno del luogo della tragedia.

Forse Giacomo è stato il primo a capire cosa stesse accadendo. Forse ha cercato di mettere al sicuro la sua famiglia ai primi scricchiolii. Ma la tempesta di calcinacci che si è abbattuta sulla sua abitazione lo ha finito prima. Eddy Laiola era una bella e combattiva insegnante. Una volta a settimana la vedevano arrivare negli uffici della Cgil di Piazza Cesaro per dare consulenza ai colleghi che volevano presentare ricorsi o rivendicare i propri diritti. Poco incline ai vezzi e alle mode, molta sostanza in questa mamma professionista che viveva per il lavoro e per la sua famiglia.

Era una sarta, invece, Pina Aprea: ogni mattina alle 7 scendeva di casa per andare a passeggiare, per restare in forma. Mezz’ora e il destino non l’avrebbe trovata al suo posto. Trenta minuti e sarebbe davanti a un microfono a raccontare la sua vicenda. Sua nipote l’ha cercata per tutta la giornata. Poi si è arresa. Pina era sotto le macerie. Pina era con Giacomo, Marco ed Eddye.

Non c’era invece un pescatore che era uscito alle sei di mattina. Ha potuto riabbracciare in lacrime il cane Peky che è spuntato fuori dalle macerie. E seduto al telefono con qualche familiare ha potuto dire di essere vivo. Grazie a quel lavoro, la pesca, che lo faceva alzare ogni mattina presto.

Sono rimasti, invece, più a lungo del previsto in quella prigione di tufo e calcinacci i due piccoli angeli di questa terribile, infame storia. Francesca e Salvatore Guida, 14  e 11 anni, dormivano nei loro letti a castello, al terzo piano della palazzina. Magari sognavano il mare dove sarebbero andati con la nonna la mattina dopo. Quel mare che spuntava ad ogni angolo dei loro balconi. Tutti hanno un solo desiderio. Che non abbiano sentito nulla. Che il loro sonno sia rimasto tale, senza dipingere terrore e paura sui volti della loro innocenza. Li hanno estratti per ultimi tra le grida di dolore dei parenti. Della nonna in particolare che doveva andarli a prendere alle otto. Anche i genitori non ce l’hanno fatta. Pasquale Guida, ostricaio e sua moglie Anna, sono stati recuperati nella notte. Grande tifoso del Savoia e conosciuto in città per Pasquale, come per tutte le altre sette vittime, la città ha pregato e si è dannata. “Dio perché anche quei bimbi” ha scritto qualcuno sulle pagine social che si sono riempite in breve tempo di ricordi, banalità, ma anche preghiere e appelli.

Imprigionati in una bara di tufo e calcinacci. Inghiottite dalla loro casa, dai muri domestici che avrebbero dovuto proteggerli. Protagonisti senza volerlo dell’ennesima tragedia senza un perché.

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