di Carmine Alboretti

Un abbraccio, si sa, vale più di mille parole. Quello avvenuto a Torre Annunziata, al termine della celebrazione in onore della Virgo Fidelis, patrona dell’Arma dei Carabinieri, lo è ancora di più. 
A stringersi la mano sono stati un ospite della casa di accoglienza dei Salesiani, e il tenente colonnello Filippo Melchiorre, comandante del Gruppo di Torre Annunziata.
Un gesto molto significativo, perché i militari, senza averne colpa, hanno stravolto la vita del giovane, portando via, in rapida successione, prima la mamma e poi il papà. 
In certi contesti i bambini sono costretti, loro malgrado, a vivere la terribile esperienza della carcerazione, attribuendo la responsabilità della separazione fisica dai genitori ai tutori dell’ordine. 
Quando nell’ambiente di casa mancano riferimenti e valori, il rancore prende il sopravvento su tutto e si finisce per odiare gli uomini e le donne in divisa, in quanto esecutori di una legge che appare insensibile, fredda, disumana. 
Le cattive frequentazioni e il desiderio del guadagno facile contribuiscono a forgiare personalità refrattarie alle regole, avvezze alla prevaricazione ed alla violenza sia fisica che verbale. 
Da qui all’ingresso in carcere il passo è breve, anzi brevissimo.
Il ragazzo che si è presentato davanti all’altare della Santissima Trinità, sotto gli occhi del cappellano dell’Arma, don Franco Facchini, del procuratore Pierpaolo Filippelli e di una folta rappresentanza di carabinieri in servizio e in congedo è certamente vittima di questo meccanismo perverso (“sto pagando per i miei sbagli”), ma è anche la prova che dal tunnel si può uscire (“quando ho detto agli operatori che sarai venuto alla vostra festa credevano che stessi scherzando, non avrebbero mai immaginato che uno come me avrebbe fatto gli auguri allo Stato”).
Sotto l’icona della Virgo Fidelis è, dunque, avvenuto il “miracolo”, frutto del lavoro e dei sacrifici di una delle organizzazioni maggiormente impegnate nell’assistenza ai minori cosiddetti “a rischio”, seguiti passo passo ed aiutati a ricostruire la loro esistenza su nuove e più solidale basi.  
Si tratta di un percorso lento ed inesorabile, fatto di piccoli gesti quotidiani, che favoriscono l’autostima e la  capacità di interazione sociale. In questo modo i figli “del disagio” acquistano consapevolezza dei propri “errori” e possono persino arrivare a comprendere che l’arresto di mamma e papà, per quanto doloroso, è stato effettuato anche per il loro bene.
In quell’abbraccio spontaneo che ha commosso i presenti è racchiuso il senso più autentico della secolare missione della Benemerita.

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