Stava male, ma lo mandarono a casa. Dimesso dall'ospedale nonostante avesse ancora dolori. Poi una volta nella sua abitazione la situazione è precipitata, così provò a tornare in auto al pronto soccorso. Era troppo tardi. Stroncato da un infarto. Condannato un medico dopo quattro anni dalla tragedia che sconvolse la famiglia di un operaio stabiese. Prima di entrare nella sua vettura svenne nel cortile di casa e fu portato ormai in coma, da un'ambulanza, nuovamente in ospedale. Così Vincenzo Schiavone, sindacalista e operaio della ditta di raccolta rifiuti, morì nel marzo del 2019. Il tribunale di Torre Annunziata, su richiesta del pubblico ministero Emilio Prisco, ha condannato in primo grado il medico che ne firmò le dimissioni. Il giudice Maria Camodeca ha deciso per il risarcimento della famiglia e la condanna di otto mesi di reclusione per chi aveva deciso di rimandarlo indietro. Sin dal primo momento solo il medico, oggi in pensione, è stato l'unico imputato.

Che ci sia stata una responsabilità da parte del pronto soccorso l'ha dimostrato anche l'autopsia disposta dalla Procura di Torre Annunziata. Schiavone aveva 57 anni e la sua fine improvvisa lasciò nel dolore la famiglia e l'intera comunità stabiese che conosceva l'uomo per la sua attività. «La morte di Vincenzo fu un caso di malasanità» ripete oggi la famiglia. Secondo il protocollo ospedaliero Schiavone fu dimesso prima del tempo necessario di osservazione, non furono ripetuti gli esami specifici tanto che fu un infarto a decretarne poi la morte. E adesso lo dice anche una sentenza. 

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