TORRE ANNUNZIATA. C’è un aspetto, che inquieta e traspare, dietro le nove pagine di sentenza scritte il 17 febbraio scorso dal gup di Napoli Roberta Zinno, per seppellire con cinque secoli di carcere la holding della droga gestita dal clan Falanga di Torre del Greco: l’asse solido costruito dalla cosca della città del corallo con esponenti criminali della vicina Torre Annunziata. Ad agevolare anche al confine il business milionario dello spaccio, svelato dalla maxi-inchiesta “Free-Tower”, erano soprattutto gli oplontini Luigi e Salvatore Monaco (in foto), i fratelli “tittone”, oltre al giovane Angelo Amoretti (27 anni). Tutti condannati, con pene dai 9 anni ai 14 anni e 4 mesi di reclusione. Tutti, con compiti e ruoli ben precisi, erano inseriti in un meccanismo quasi perfetto, che consentiva ai Falanga di smerciare hashish, cocaina e marijuana fino ai comuni di Napoli, Massa di Somma, Procida ed alla provincia di Salerno.

Al vertice dell'organizzazione, secondo l’indagine, c’era il boss Domenico “Mimì” Falanga, oggi collaboratore di giustizia, che dal carcere di Rossano impartiva le “dritte” da seguire per stringere accordi con esponenti dei clan attivi nelle zone limitrofe. “Chiaramente - riferì Falanga agli inquirenti in un interrogatorio dell'agosto 2013 - sapevo che Torre Annunziata era un ottimo canale di approvvigionamento”

“Mimì a’ zagaglia”, figlio dello storico capo-clan della camorra di Torre del Greco, aveva un altro obiettivo, più ambizioso. Creare il contatto giusto, direttamente dalla sua cella in Calabria, anche con i Gionta di via Bertone: “volevo organizzare che nel corso dei colloqui si potevano incontrare sia i familiari di Gionta sia Pompeo (Aniello, suo fiduciario, anch’egli condannato in continuazione ad 11 anni e due mesi di carcere) che veniva a fare il colloquio con me e così io avrei creato il contatto” dichiarò sempre Falanga nel corso del medesimo interrogatorio. Il piano saltò. Domenico “Mimì” Falanga, alla fine, dovette arrendersi: "non sono mai riuscito a combinare quell'incontro".

IL RUOLO DEI MONACO. Luigi e Salvatore Monaco (di 42 e 33 anni), i fratelli “tittone” di Torre Annunziata, invece rifornivano stabilmente di cocaina il clan Falanga con trattative per l’acquisto all’ingrosso condotte nel "palazzo di famiglia”. Il “contatto” tra il gruppo di Torre Annunziata ed il clan corallino era rappresentato da Michele “Fransuà”, 31 anni, appartenente alla famiglia camorristica dei Chierchia, che ha incassato una condanna a 7 anni.

Il carisma criminale dei “tittone”, soprattutto del più piccolo dei due fratelli, Salvatore, era noto anche ad Aniello Pompeo. Per questo i familiari dell’ex re dello spaccio di Torre del Greco trattavano con i Monaco-Chierchia. L’organizzazione seguiva uno schema classico: conclusa la trattativa con i vertici, secondo la volontà di “Mimì” Falanga, lo stupefacente veniva consegnato agli emissari di Torre del Greco da corrieri di fiducia dei “tittone”. L’appuntamento era all’esterno della stazione “Circumvesuviana” di Trecase.  

IL RUOLO DI AMORETTI. Angelo Amoretti, alias “chiappetella”, il più giovane del gruppo di Torre Annunziata, è stato incastrato dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Domenico Vitiello, Barbara e Rosa Pompeo, le “sorelline” di Aniello. Dichiarazioni per le quali il 27enne oplontino, ora ai domiciliari a Siena, era tra i “vettori della coca, da consegnare agli emissari del clan fuori alla stazione”.

Per il pm della dda di Napoli, Maria Di Mauro, Amoretti era “l’uomo di fiducia dei Monaco”, così come Giuseppe Oligo “cacaglio”. Il ruolo assegnato a “chiappetella” era fondamentale per il corretto funzionamento del business: i fratelli Monaco restavano così a casa per trattare il prezzo della droga. Chi correva più rischi era proprio Angelo Amoretti: il giovane fiduciario, che trasportava cocaina alla “Circum” di Trecase.


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