E il boss divenne Avvocato. Ferdinando Cesarano si laurea in Legge con una Tesi sul '41-bis'
“Nanduccio e’ Ponte Persica” si reinventa “il Ras Saraceno” e racconta: “Trattati peggio che a Guantanamo”
17-10-2015 | di Salvatore Piro
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Ferdinando Cesarano, 61 anni, è da sempre uno spietato boss di camorra. Un irriducibile. Svezzato sotto l’ala protettiva del ‘Capo dei Capi’, Carmine Alfieri. “Nanduccio e’ Ponte Persica”, così tutti lo conoscono al confine tra Pompei e Castellammare. Il suo nome, lì, fa tremare ancora i polsi. Pure oggi che il boss è in cella, al 41-bis a L’Aquila. Sta scontando una dozzina di ergastoli al carcere duro e in un’area ristretta.
Il boss non può parlare con nessuno dal 2000, arrestato nel mega-blitz dei ‘cento agenti’ alle 4 del mattino: un’operazione storica, condotta per stanare chi, due anni prima, fuggì dall’aula bunker del Tribunale di Salerno. Alla sbarra nel processo ‘California’, Cesarano scappò sotto gli occhi delle guardie col braccio destro Giuseppe Autorino. Per mesi, entrambi, scavarono un tunnel sotterraneo che significava libertà.
Oggi Ferdinando Cesarano, il boss che non si è mai pentito, intelligenza per i medici “fuori dal normale”, cultore sopraffino degli intrecci tra camorra ed economia di mezz’Italia, si laurea. Per la seconda volta. Prima Sociologia, nel 2007, all’Università di Napoli. Ora Legge. Studi e lettere dal carcere.
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“La condizione disumana del 41-bis” è l’argomento scelto dal boss per l’ultima Tesi, discussa in videoconferenza con l'Università di Perugia. Perché negli anni, “chiuso in una cella piccolissima, senza lenzuola, con le pulci dentro al letto, spiato da una videocamera anche in bagno”, “Nanduccio e' Ponte Persica” ha riflettuto. Da solo. Ed ha studiato. Occhi fissi sui libri, una penna sempre in mano e tanto tempo per pensare. Perché in fondo al boss resta un’ora d’aria.
Manuali, dispense, quaderni, dozzine di appunti. Tutto portatogli in cella dai suoi figli. Quattro per essere precisi. Tre sono Dottori, uno è già Avvocato. Quasi come il papà. Il fondatore del clan, adesso con la laurea in Legge.
Nella sua Tesi, Ferdinando Cesarano è “il boss Saraceno”. Una finzione che ripercorre la sua storia personale. Fatta pure di una lotta, vinta in carcere, per oscurare la videocamera nel bagno. Scrive, cancella, riscrive, pensa. Getta giù una storia e poi conclude: “Qui è peggio che a Guantanamo. Non ho nemmeno un fornellino per scaldarmi il pasto”.
La Tesi scorre via veloce. Si lascia leggere, intriga. La conosce a memoria uno degli avvocati del boss, Antonio Cesarano, che ironia della sorte porta il suo cognome. A casa, l'avvocato, ne ha una copia rilegata. “Sono stato il testimone di molte pagine del ‘Saraceno’ – commenta - . Una volta, all’Asinara, ebbi solo cinque minuti per parlare con chi avrei dovuto difendere. Dopo mi partiva l’ultimo traghetto. Il 41-bis è uno strumento fondamentale, ma perché trattare gli uomini come bestie? Se ti azzardi solo a pensarci, ti dicono che sei un colluso”.
Ferdinando Cesarano oggi è Dottore per la seconda volta. Ha un metodo infallibile per dare esami. E’ veloce e spietato il boss, quasi come il 24 agosto del 1984, al Circolo dei Pescatori di Torre Annunziata. “Nanducc e’ Ponte Persica” fu tra i protagonisti di una delle stragi di camorra più efferate della storia criminale in Campania: otto morti e una ventina di feriti, il bilancio sull’asfalto della sanguinaria battaglia contro il clan Gionta. Il “Saraceno” adesso studia. Di tempo, davanti, ne ha. Dal carcere non uscirà più.
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