Pareti a grandi riquadri, dove il giallo dello zoccolo faceva da contrasto al rosso intenso e al nero della fascia centrale, le tinte unite intervallate da delicati decori di fiori e candelabri, le nicchie per le statue e forse persino l'altissimo soffitto illuminati da un azzurro intenso come un cielo d'agosto. Costruito agli albori del primo secolo d.C. quando su Roma regnava Augusto, il grande tempio romano di Cupra, nel Piceno, fu nella sua prima fase di vita riempito di colori e di immagini in III stile pompeiano, con le stesse cromie e gli stessi decori che all'epoca facevano bella mostra di sé nelle case più ricche di Roma e di Pompei.

E' la scoperta, inaspettata e straordinaria che arriva dal sito archeologico marchigiano, dove una missione dell'Orientale, in collaborazione con soprintendenza e comune di Cupra Marittima, ha intrapreso una nuova campagna di ricerca. In quest'angolo delle Marche, non lontano dal mare e a poca distanza da dove gli etruschi nel VI sec. a C. avevano gestito un santuario dedicato ai commerci, i romani si erano insediati intorno al I sec. a C., con un municipio poi promosso al rango di colonia.

Abitata dalle famiglie degli eserciti di Marcantonio e Ottaviano e dai loro discendenti, Cupra , che aveva preso il suo nome proprio dalla divinità di quel tempio (per lo storico Strabone Cupra è un altro nome di Hera) era in quei decenni una cittadina fiorente, con un foro e il grande santuario di cui oggi resta purtroppo molto poco, ma che proprio gli scavi delle scorse settimane hanno permesso in qualche modo di ricostruire. Più o meno cent'anni dopo la sua fondazione, nel II sec.d. C., una serie di problemi statici resero indispensabile un suo restauro radicale. Un intervento "impegnativo e costoso", spiegano gli archeologi, portato avanti con le stesse avanzate tecniche impiegate a Pompei dopo il terremoto del 62 d.C, quello che aveva preceduto di qualche anno la furia del Vesuvio. Per questo si ipotizza che a finanziare quei lavori, potrebbe essere stato lo stesso Adriano, che era nato in Spagna è vero, ma discendeva da una famiglia di Atri, sempre nel piceno, e che nel 127 d. C. si concesse un tour da quelle parti, fermandosi pure a Cupra.

Fu in quell'occasione, ritengono oggi gli studiosi, che il tempio perse i suoi magnifici colori originari. Perché dovendo rinforzare i muri che contenevano la cella del santuario, anche le pareti vennero scalpellate e poi con tutta probabilità rivestite di marmo, come imponeva ormai la moda dell'impero. Il meraviglioso azzurro cielo, così come i gialli, i verdi, i rossi, che avevano illuminato quello spazio sacro, finiscono a terra in mille pezzi, che i costruttori romani, abituati a riciclare tutto, useranno come base per il nuovo pavimento. Il tempio rinnovato diventa un esastilo corinzio, con le sei colonne del fronte che svettano per nove metri, ornate da ricchi capitelli. Ma si arricchisce anche di semicolonne in muratura, addossate alle pareti laterali, e di gocciolatoi a testa di leone, pure questi riportati alla luce dallo scavo di questi giorni.

Una nuova meraviglia voluta proprio da Adriano, come sembra testimoniare un'iscrizione trovata anni fa nella vicina Grottammare. Mentre in tutta la città fervevano cantieri e nascevano monumentali architetture, compresi i due possenti archi in laterizio che ancora oggi affiancano il perimetro del tempio. Proprio davanti alla scalinata ancora oggi conservata del santuario, si innalzò il basamento per un monumento celebrativo, chissà, forse una statua del munifico imperatore. Peccato che nei secoli successivi - quando è ancora da capire - tutta questa bellezza viene smantellata, marmi e colonne vengono ridotte a calce da reimpiegare in altri edifici e persino i muri del tempio, a fine '800, vengono abbattuti per costruire un casale i cui resti ancora incombono sull'antica scalinata di quello che fu il santuario romano.

Tutti i nuovi reperti, intanto, sono stati portati nei laboratori di restauro dove verranno puliti e studiati. Gli scavi riprenderanno in primavera, questa volta concentrati sia sui due archi, sia sul lato posteriore del tempio per fare luce sulla decorazione della sua seconda fase. A quasi duemila anni da quel viaggio dell'imperatore Adriano, anche la Cupra romana ritrova a poco a poco la sua storia e i suoi colori.

"Una scoperta importante per contestualizzare la pittura parietale che a Pompei si è conservata grazie all'eruzione". Il direttore del parco archeologico di Pompei, Gabriel Zuchtriegel, commenta così la scoperta arrivata dagli scavi del santuario romano di Cupra. "E' lo stesso terzo stile noto dagli scavi di Pompei - spiega Zuchtriegel - ma ci sembrano essere anche piccole differenze". Interessante, aggiunge, "anche l'uso della pittura in un santuario: lo stesso avviene a Pompei già con il primo stile come recentemente confermato dalle indagini promosse da Massimo Osanna al Foro triangolare che ora riprenderemo insieme alla Scuola Superiore Meridionale".

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