Gionta, faida con i Limelli: ricostruiti gli omicidi di camorra tra il 1998 e il 2004
In Appello chiesta la "conferma delle pene" per 6 uomini del commando di via Bertone
21-01-2016 | di Salvatore Piro
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“Le dichiarazioni dei collaboratori Vincenzo Saurro e Aniello Nasto sono concordanti, le loro piccole imprecisioni nella ricostruzione dei fatti irrilevanti. Chiedo la conferma delle condanne per il commando dei Gionta”. Così dopo mezz’ora di requisitoria, il Procuratore Generale presso la Corte d’Assise d’Appello di Napoli ha chiesto ai giudici di confermare la pena dell’ergastolo per Antonino Paduano e Giovanni Iapicca; a 30 anni di reclusione per Liberato Guarro, Gennaro Longobardi e Luigi Maresca; a 10 anni di carcere per il pentito del clan Vincenzo Saurro, già dissociatosi nel 2006, e che coi suoi racconti svelò alla DDA partenopea i nomi dei componenti del gruppo di fuoco del clan.
Tutti condannati in primo grado e in abbreviato, il 1 dicembre 2014, chi come mandante, chi come esecutore, chi infine come “specchiettista” controllando la scena dell’agguato, per l’efferata serie di omicidi nella faida di camorra scatenatasi tra la cosca di via Bertone e i “Limelli-Vangone” di Boscoreale. “Ruoli fondamentali e interscambiabili, basati sul rapporto di fiducia con l’organizzazione camorristica” – ha continuato il Procuratore Generale - .
GLI OMICIDI. Cinque i delitti consumatisi tra il 17 aprile 1998 e il 29 settembre 2004 a Torre Annunziata, Boscoreale e Trecase. Ad essere puniti dal commando del clan Gionta prima Ciro Bianco, detto “o’ squalo”, il volto nuovo dei “Valentini”, in passato vicino al clan “Limelli”, ucciso in via Castello con 13 colpi di pistola calibro 9 al torace, all’addome e al collo. “Ciro Bianco è la prima persona che ho ucciso – raccontò il pentito Aniello Nasto all’Antimafia nel 2013 - . L’omicidio venne deciso in carcere. Bianco doveva essere ucciso perché era ritenuto un confidente delle forze dell’ordine. Inoltre in Montenegro, mentre era latitante, si era appropriato dei soldi del clan".
La furia dei Gionta, poco dopo l’esecuzione di Bianco, colpì altre 4 vittime: Domenico Savarese, trucidato all’interno della sua autorimessa di Trecase. E poi l’ex dipendente delle Poste Liberato Ascione, pregiudicato per reati di spaccio e porto d’armi, ritenuto dagli inquirenti vicino ai “Limelli-Vangone”. Il motivo? Sempre Aniello Nasto a raccontarlo alla DDA di Napoli: “A Torre Annunziata era necessario fare piazza pulita di tutti i soggetti già affiliati in passato ai Limelli”.
Due settimane dopo l’omicidio di Ascione, avvenuto in via Settetermini a Boscoreale, vennero uccisi anche i cognati Carlo Balzano e Angelo Scoppetta. Balzano fu punito perché “era inaffidabile, non rispettava le regole del clan”, nonostante secondo il pentito prendesse una “mesata” di 2000euro. A sparare, per l’inchiesta, fu il killer Umberto Onda (che a processo ha invece scelto l’ordinario): almeno 16 i colpi d’arma fuoco esplosi il 29 settembre 2004 fuori al bar “Ittico Madonna Della Neve”, in via Dogana, a due passi dalla Basilica. Una scena da far-west. La morte di Angelo Scoppetta, invece, non era prevista. Si trovava nel posto sbagliato, al momento sbagliato, in sella ad uno scooter insieme al bersaglio del raid. Per Aniello Nasto, Scoppetta “era una brava persona”.
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