TORRE ANNUNZIATA. ‘Pizzo a rate’ e soldi facili da estorcere ad almeno 6 titolari di bar, pasticcerie e negozi di abbigliamento cittadini: slitta al prossimo 21 novembre la sentenza d’appello contro 7 estorsori del clan Gionta. Clan descritto dal procuratore generale ai giudici come “in piena crisi economica, con l’acqua alla gola”. Per questo soprattutto le donne, le nuove ‘cassiere’ in gonnella, si sarebbero accontentate di capitali freschi da raccogliere in qualsiasi modo. Anche con lo ‘sconto’.

IL PROCESSO. Associazione camorristica ed estorsione aggravata dalla finalità mafiosa, i reati contestati a vario titolo. Durissima la requisitoria dell’accusa, che ai giudici della settima sezione della Corte d’Appello di Napoli ha chiesto la conferma delle condanne inflitte in primo grado: 51 anni di carcere totali.

A gestire le casse della cosca erano proprio le donne di Palazzo Fienga. Teresa Gionta, la sorella di Aldo “il boss-poeta”, Francesca Donnarumma e Anna Paduano. Tutte condannate, il 27 maggio 2015, rispettivamente a 9 e a 6 anni di reclusione. I soldi, pretesi ‘a rate’, sarebbero serviti a “pagare gli avvocati o per dare lo stipendio alle famiglie di boss, colonnelli e gregari in cella”.

LE DONNE. Comandano loro, anche secondo l’ultima relazione DIA. Relazione riferita al secondo semestre 2015 e per la quale il clan Gionta, col fondatore della cosca Valentino ‘senior’, ormai da anni ergastolano, e i suoi due figli, Aldo ‘il boss poeta’ e Pasquale ‘o chiatto’, ora relegati al 41-bis, “resiste in città al vertice della camorra” soltanto grazie al ruolo di primo piano riconosciuto alle ‘cassiere in gonnella’: Teresa Gionta, Francesca Donnarumma e Anna Paduano, appunto. Ma anche ‘zì Carmelina’, l’anziana sorella 71enne di don Valentino, condannata il 6 luglio scorso - in altro processo - ad 8 anni di galera per associazione mafiosa, tentata estorsione ed usura.    

GLI ALTRI ALLA SBARRA. Il gup del Tribunale di Napoli, Alessandro Modestino, aveva condannato l’anno scorso in abbreviato anche Michele Guarro (9 anni)Felice e Pasquale Savino (rispettivamente a 9 e 7 anni)Benito Cioffi (5 anni). Domenico Bucciero, invece, aveva in precedenza patteggiato una condanna a 3 anni. Tra gli imputati, il solo Cioffi era stato assolto dall’accusa dell’aver agito per conto del clan.

Circostanza quasi ininfluente - secondo il procuratore generale - per il quale “l’aver tentato un’estorsione in maniera isolata non ne esclude la modalità mafiosa”. La stessa Teresa Gionta, al termine del differente maxi-processo ‘Alta Marea’, lo scorso 23 settembre era stata assolta dall’accusa di far parte dell’associazione camorristica.

IL BLITZ.  Scattò nel giugno 2014. Vi sfuggirono proprio gli ex reggenti dei Gionta: ‘Aldulk il poeta ribelle’ e suo figlio Valentino junior, entrambi comunque condannati in uno stralcio del giudizio principale rispettivamente a 4 e ad 8 anni di reclusione. Secondo le indagini - coordinate dalla Dda di Napoli - a gestire il giro di estorsioni sarebbero stati Salvatore Ferraro, alias ’o capitano, e Vincenzo Amoruso.

Proprio quest’ultimo, secondo i pm, riuscì a “evitare il racket ai danni di un imprenditore amico”. Le accuse contro i due caddero tutte in primo grado. Ferraro e Amoruso, infatti, vennero assolti con formula piena. Almeno loro, secondo i giudici, non tentarono di estorcere perfino una “bottiglia di champagne” al titolare di un noto bar della zona nord di Torre Annunziata. La bottiglia sarebbe servita per festeggiare il capodanno. 

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