Giustizia, a Torre del Greco convegno sulla responsabilità civile dei magistrati
Confronto tra avvocati e giudici del Foro di Torre Annunziata nell’incontro organizzato dal Rotary Torre del Greco-Comuni Vesuviani
18-10-2015 | di Redazione
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«Abbiamo ritenuto utile organizzare un convegno dedicato alla responsabilità civile dei magistrati alla luce delle perplessità sollevate dagli esperti sulla legge dello scorso 27 febbraio. E’ un argomento sentito anche dall’opinione pubblica, per questo riteniamo che un confronto nel merito tra giudici e avvocati sia stata un preziosa occasione di dialogo tra le parti».
Così Massimo Tipo, presidente del Rotary Club Torre del Greco-Comuni Vesuviani, organizzatore del convegno svoltosi oggi a Torre del Greco.
Moderati da Romeo Del Giudice, avvocato penalista, sono intervenuti Andrea R. Castaldo, avvocato penalista e ordinario di Diritto Penale all’Università degli Studi di Salerno; Gennaro Torrese, presidente del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Torre Annunziata; Paola Cervo, giudice del Tribunale di Torre Annunziata. Il comitato scientifico era composto dagli avvocati Antonio Cirillo, Angelo Scarpati e Luigi Torrese.
«Risale solo al 1988 la Legge Vassalli, la prima disciplina della responsabilità civile dei magistrati – ha osservato Del Giudice – un provvedimento ritenuto dagli studiosi “farraginoso e inefficace”, al punto da essere utilizzato in pochissimi casi e da determinare rilievi critici dell’Unione europea fino alla condanna dell'Italia con la sentenza della Corte di Giustizia Europea del 24 novembre 2011 che provocò l’apertura di due procedure di contenzioso con Bruxelles».
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«Quella legge – ha aggiunto nel suo intervento Castaldo - contemplava una “strettoia” che non permetteva di individuare una responsabilità precisa dei magistrati, soprattutto nell’articolo 2, comma 17, secondo il quale quando il magistrato era alle prese con un’interpretazione di una norma di giudizio era automaticamente sottratto a ogni possibile sanzione in caso di errore. Una coperta, dunque, troppo ampia».
Con le nuove disposizioni, contenute nella legge 18 del 27 febbraio 2015, il danno patrimoniale e non patrimoniale subito dal cittadino sono individuati in conseguenza di un atto o di provvedimento giudiziario di un magistrato che abbia agito con dolo o colpa grave nell’esercizio delle sue funzioni, ovvero di un “diniego di giustizia”.
La norma rappresenta un sostanziale miglioramento rispetto alla legge Vassalli, ma non soddisfa ancora i fautori dell’ampliamento degli ambiti di responsabilità del magistrato (persiste la responsabilità “indiretta”: si chiama in giudizio non il magistrato ma lo Stato che, se soccombente, provvederà a recuperare le somme dal magistrato), né convince del tutto gli studiosi né la stessa Unione europea.
«Purtroppo il clima di serena collaborazione tra avvocati e magistrati – ha detto Torrese – non è più quello di un tempo. Spesso incontriamo giudici non sempre preparati, sono protervi, supponenti e non rispettano il loro ruolo di terzietà. Leggiamo di provvedimenti non motivati o motivati male. Molte carriere si sono sviluppate sulla base di indagini senza capo né coda. Gli avvocati se sbagliano ne rispondono direttamente, è giusto che i magistrati, in caso di manifesta responsabilità della legge, siano sanzionati. D’altronde le cifre parlano chiaro. Dall’inizio del 2015 hanno subito un’ingiusta detenzione ben 3400 cittadini, i quali hanno citato lo Stato per 24 milioni di euro. La via maestra resta la corretta interpretazione della nuova legge, non del tutto negativa, da parte di avvocati e magistrati».
Ha concluso i lavori il giudice Paola Cervo: «Ogni legge è figlia del suo tempo. La legge Vassalli contemplava la responsabilità civile dei magistrati prevedendo un filtro affinché il giudizio a carico del magistrato non si trasformasse in un processo al processo. Ricordo a tutti – ha aggiunto la Cervo – che ogni giorno il magistrato è soggetto alla responsabilità civile, penale e contabile. La magistratura non intende scontrarsi con alcuno, secondo le interpretazioni di certi osservatori, ma solo applicare la legge. C’è il rischio che il giudice decida di ricoprire il ruolo di burocrate. Non credo che la legge del 2015 sia la panacea di tutti i mali della giustizia. I mali della giustizia non si risolvono intimorendo i giudici, ma intervenendo concretamente sui problemi strutturali. Questa legge può rivelarsi pericolosa. Peraltro l’eliminazione del filtro solleva dubbi di costituzionalità».
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