Due donne erano incinte, con gravidanza quasi a termine, un numero significativo di vittime era imparentato e molti presentavano denti incisivi di una forma che si riscontra raramente in scheletri del I sec. d.C. di altri ambienti romani e le loro condizioni di salute erano buone.

Sono i primi dati emersi dagli studi antropologici condotti sugli scheletri rinvenuti negli anni ’90 ammassati in un ambiente della Villa di Lucius Crassius Tertius (la cosiddetta Villa B), poco lontano dalla famosa Villa di Poppea a Torre Annunziata.

Gli scheletri, circa 54 di donne, bambini e uomini, furono rinvenuti con una ricca dotazione di monete e gioielli che avevano sperato di salvare portandoli nella fuga.

Tutti questi scheletri sono, oggi, oggetto degli studi antropologici, isotopici e di Dna, condotti in collaborazione con l’Università del Michigan (Prof. Nicola Terrenato) e l’Università della West Florida (Prof. Kristina Killgrove), con l'aiuto della Dr.ssa Andrea Acosta (dottoranda dell'Università del South Carolina), e che stanno rivelando interessanti informazioni sullo stile di vita e le patologie diffuse all’epoca. L’indagine, di cui si è conclusa in questi giorni una prima fase, continuerà fino alla metà del mese di agosto in sito e fornirà nei mesi a seguire i risultati completi di tali studi. Si tratta di esami condotti per la prima volta nell’area Pompeiana su un contesto così ampio e complesso; finora studi del genere si erano concentrati nella sola zona di Ercolano.

Tra gli scheletri indagati, almeno due delle donne erano incinte, con gravidanza quasi a termine. Un numero significativo di vittime era biologicamente correlata, vista la presenza riscontrata di tratti genetici comuni, che le indagini sul DNA su campioni di denti e ossa verificheranno. In particolare, molti di loro presentavano denti incisivi di forma caratteristica, che si riscontra raramente in scheletri del I sec. d.C. di altri ambienti romani e che sembrerebbe quindi accomunarli.

L' analisi del campione scheletrico sembrerebbe, in generale, attestare un buono stato di salute dei fuggitivi.

A differenza delle indagini svolte in altre aree del mondo romano, condotte su scheletri ritrovati nelle necropoli, pertinenti dunque a individui deceduti per morte naturale o molto probabilmente per malattia, e che recano testimonianza di patologie quali anemia, fratture, infezioni e artriti, gli studi sui resti ritrovati nell’area vesuviana consentono di indagare lo stile di vita di individui di varie età, soggetti a morte violenta ma nel pieno della loro vita.

Tale condizione consente di reperire dati importanti sulle abitudini di vita e l’alimentazione. Il fatto che non emerga alcun indicazione circa patologie quali l'anemia, per esempio, può significare che a Oplontis malattie quali la malaria non erano presenti e che la popolazione aveva una dieta equilibrata.

Attraverso le ulteriori analisi degli isotopi stabili di ciascuno scheletro, sarà possibile addirittura ottenere informazioni sugli alimenti consumati negli ultimi anni di vita.

Al contrario del buono stato generale di salute, la situazione dentale della popolazione di Oplontis variava parecchio.

Molti scheletri rinvenuti presentano mascelle mancanti di denti o con denti deteriorati, con numerose carie e erosione dentale. In alcuni bambini e adolescenti, l’analisi della dentatura sembrerebbe denunciare un periodo prolungato di malattia o di fame.

Ulteriori approfondimenti, nei prossimi mesi, saranno possibili attraverso le analisi del DNA degli agenti patogeni e dei parassiti del suolo di appoggio degli scheletri.

Le ricerche in corso condotte dalle Università americane, assieme alla Direzione del Parco archeologico di Pompei, sono state finanziate dal National Endowment for Humanities, dalla Rust Family Foundation for Archaeological Research e dall'Università della West Florida.

La Villa di Crassius Tertius, cosiddetta B, fu scoperta casualmente nel 1974 duranti lavori per la costruzione della palestra di una scuola, e si trova a circa 300 m di distanza dalla Villa di Poppea (Villa A). Furono quasi interamente riportate in luce l'edificio principale e parte delle strutture edilizie circostanti. Probabilmente l'attività della villa era rivolta alla commercializzazione di prodotti della terra, non alla loro produzione. Sulla base di un sigillo rinvenuto duranti primi anni di scavo il proprietario, gestore della fiorente azienda commerciale fu identificato con L. Crassius Tertius.

Oggi la Villa, accessibile unicamente per indagini e campagne di studi, è oggetto assieme alla Villa di Poppea di ricerche condotte nell’ambito dell’Oplontis Project, in collaborazione con l’Università del Texas a Austin (Prof. John Clarke), in vista di un progetto di restauro globale e di una futura apertura.

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