Il Savoia e Gragnaniello. Gragnaniello e il Savoia. Un amore non coronato dal lieto fine, ma destinato a durare nel tempo. In un calcio che ormai di romantico ha ben poco ogni tanto c’è sempre una bella storia da raccontare. Raffaele Gragnaniello non è stato solo un semplice portiere per il Savoia, ma anche l’icona di una squadra che non ha mai mollato malgrado il tracollo sociaterio.

Ieri l’estremo difensore ha firmato il suo nuovo contratto con la Casertana, dicendo così addio alla ‘sua’ Torre Annunziata. Ma un anno così ricco di emozioni non lo si dimentica facilmente e Gragnaniello ha deciso di riassumerlo così.

Come mai si è costruito un rapporto così forte tra lei e la città?

“Ho paragonato un po’ Torre Annunziata alla mia storia recente. Avevo voglia di rinascere e mettermi in discussione dopo la brutta esperienza di Nocera e il mio lungo infortunio. E come me anche la città molte volte è caduta in basso, ma ha sempre avuto la volontà di reagire e riemergere. Anche i miei compagni volevano lasciare una traccia indelebile e questo effettivamente ci ha accomunato”.

Da gennaio in poi lei è diventato un uomo simbolo per il Savoia. Che periodo è stato?

“Abbiamo costruito qualcosa di importante da Natale in poi, quando in pratica si era avvertito il pericolo. La squadra ha cercato di pensare solo al campo dimenticando i problemi economici per quello che si poteva. Abbiamo messo in scena anche qualche piccola manifestazione per far capire che c’eravamo e la gente ci è stata vicina”.

Resta indelebile il suo pianto dopo la notizia della riammissione della Reggina…

“ Ci hanno tolto la dignità e si è persa una grande occasione affinché si parlasse di calcio in maniera diversa. Eravamo pronti a riempire lo stadio contro il Messina e a dare battaglia in campo anche se se sapevamo che eravamo già falliti. Così dopo aver appreso la sentenza del Coni sono subito scoppiato a piangere. Era come se mi avessero privato di un giocattolo…”.

Dopo tanti anni spesi nel mondo del calcio com’è stato farsi ‘offrire’ il buffet da Manca al posto degli stipendi?

“Mi ha fatto pensare che nel calcio non si smette mai di imparare. Il problema principale è che negli ultimi anni stanno andando di moda i presidenti, che sfruttano questo sport come un’azienda. Si fa un po’ fatica a trovare credibilità, soprattutto quando chi ti dovrebbe pagare non lo fa. E’ come se un portiere smettesse di parare. Mi hanno deluso tutti perché alla fine le conseguenze le abbiamo pagate noi, visto che ci allenavamo senza palloni e senz’acqua”.

Qual è stato il momento che non dimenticherà mai nella sua esperienza oplontina?

“Di sicuro la festa che è stata organizzata dai miei compagni e dai tifosi per le mie trecento partite tra i professionisti. Dagli  sguardi e dalle testimonianze ho visto che l’hanno voluto condividere davvero in tanti questo momento con me. Ricevere così tanto affetto vuol dire che ho seminato qualcosa di importante nel corso del tempo”.

Da ieri lei è ufficialmente un giocatore della Casertana, ci è rimasto male per non aver di nuovo vestito la maglia bianca?

“Devo essere sincero nel momento in cui ho terminato l’annata a Torre mi sono isolato attendendo gli eventi. La nuova società ha immaginato che per me ci potesse ancora essere un futuro in categorie superiori ed ha fatto il tifo pre me. Ho avuto modo di parlare anche con il tecnico Giovanni Masecchia, al quale va il mio più grande in bocca al lupo. Abbiamo discusso praticamente di tutto tranne che della mia situazione e dalle sue parole ho percepito grande entusiasmo e voglia di lavorare”.

Che messaggio vuole lasciare al popolo di Torre Annunziata?

“Voglio estendere un pensiero non solo ai tifosi, ma a tutto l’intero ambiente. Non è la categoria che fa l’uomo, ma è l’uomo che fa la categoria. Non mollate mai”.

Grafica Nunzio Iovene Il Cigno @rt

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