Sessanta secondi di violenza e un delitto inquadrato nella logica della spartizione dei territori. Nicholas era colpevole di aver sconfinato e doveva essere punito. E’ questa la tesi avanzata dal pm Giuseppe Cimmarotta nel ricostruire cosa accadde il 25 maggio 2020. Presso la Corte d’Assise di Napoli è entrato nel vivo il processo per stabilire la verità sull’omicidio del 17enne e del ferimento di suo cugino Carlo Langellotti. Due i principali responsabili, Ciro Di Lauro e Maurizio Apicella. Quella notte incrociarono i due e iniziarono una violenta aggressione che portò all’accoltellamento di entrambi. E ad avere la peggio fu Nicholas, con una coltellata che gli recise l’arteria femorale destra. Miracolosamente scampato alla tragedia suo cugino Carlo, colpito con sei fendenti, riuscì a cavarsela con qualche mese di ospedale.

Nella prossima udienza verranno diffusi anche i video raccolti durante le indagini che mostrano cosa accadde quella notte in via Vittorio Veneto. Momenti che sono stati ora raccontati in aula dal Vice Questore aggiunto Manuela Marafioti e dal Vice Ispettore Alfredo Onorato della Polizia di Castellammare di Stabia. Presente in aula anche Maria Carfora, la mamma di Nicholas. In silenzio e piena di commozione ha osservato tutto: i due baby killer dietro le sbarre, gli agenti che raccontavano i momenti immediatamente successivi alla morte di suo figlio.

“Dopo pochi minuti le indagini erano giù orientate verso Apicella e Di Lauro ha spiegato la dottoressa Marafioti in aula -. Fu lo stesso Di Lauro a dare alla polizia il giubbotto nero che avevamo visto nelle immagini di videosorveglianza di uno studio medico situato nelle vicinanze del luogo del delitto. Ma ci raccontò di non essere stato lui a dare la coltellata mortale”.

Acquisite anche le immagini dell’ospedale San Leonardo e le intercettazioni, telefoniche e ambientali, della sala in cui era ricoverato Carlo Langellotti. “Siamo riusciti a parlare con Langellotti appena dopo l’operazione alla quale fu sottoposto – ha raccontato il Vice Ispettore Onorato – salvo poi interrompere la discussione perché il dolore che provava era troppo forte”.

Onorato ha poi ricalcato la tesi del pm Cimmarotta sulle dinamiche criminali di Gragnano e dei Monti Lattari. Da una parte il clan Apicella, alleato con i Di Martino (i cui due capi, Rossano Apicella e Leonardo Di Martino, sono entrambi in carcere). Dall’altra i Carfora, alleati con gli Imparato, il cui capostipite Umberto Mario fu ucciso nel 1993 dopo un conflitto a fuoco con la Polizia. Da allora proseguirono la carriera criminale in autonomia. In queste dinamiche è maturata la lite sfociata in tragedia di quella notte. “Una tesi non supportata da elementi oggettivi – ha spiegato l’avvocato Carlo Taormina in aula, che cura gli interessi della famiglia Apicella -. Non ci sono prove che quella lite era inquadrata nella contrapposizione di due o più gruppi criminali”.


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