In 20 dalla pusher per costringerla a pagare il pizzo
Spedizione punitiva a Cercola. La ricostruzione della Dda
13-10-2021 | di Redazione
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Per costringerla a pagare il "contributo di vassallaggio" (il "pizzo") sulla vendita della droga, si sono presentati in venti a casa di colei che gestiva una piazza di spaccio a Cercola. E quando la donna si è rifiutata, hanno picchiato lei, il marito e anche la figlia minorenne, intervenuta per difendere la madre.
E' l'episodio estorsivo, connotato da violenti percosse, che sta alla base di un dei due decreti di fermo emessi dalla DDA di Napoli e notificato dai carabinieri a sette indagati, ritenuti appartenenti al cartello malavitoso dei De Luca Bossa, Minichini e Casella di Ponticelli, una volta legato alla federazione camorristica "Alleanza di Secondigliano".
L'aggressione, risalente al novembre 2019, non è stata denunciata dalla vittima, che l'ha ridimensionata a lite per timore di ritorsioni. Ma una intercettazione e i collaboratori di giustizia rendono la pericolosità dell'accaduto. Il gip Fabio Provvisier pur non ritenendo sussistente il pericolo di fuga ha disposto il carcere per 4 indagati, i domiciliari per un quinto indagato (una donna che deve accudire la prole) e un obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria per una sesta persona basandosi sul pericolo "concreto e attuale" che il reato potesse essere reiterato. Per un settimo indagato la richiesta di provvedimento cautelare è stata invece rigettata in quanto l'uomo è già detenuto.
Il gip Carlo Bardari, in relazione al secondo decreto di fermo della DDA, ha invece disposto il carcere per tre indagati, accusati di avere più volte minacciato un parcheggiatore abusivo "in servizio" vicino all'ospedale del Mare a cui sono stati chiesti prima 100 euro di "pizzo" settimanali, poi aumentati a 150. Pena, in caso di mancato pagamento, l'impossibilità di esercitare in quel luogo. Le richieste degli inquirenti riguardavano complessivamente 7 persone, anche queste riconducibili al clan De Luca Bossa, Casella, Minichini. Anche in questo caso il giudice non ha ritenuto sussistente il pericolo di fuga ma le misure cautelari in carcere sono state emesse per il pericolo di reiterazione del reato di estorsione aggravata.
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