“Il rispetto dei diritti fondamentali e del principio del giusto processo rappresentano valori non sufficientemente garantiti dall’attuale situazione politica della Turchia”. Questa in sintesi la motivazione con la quale il comitato direttivo della Scuola Superiore della Magistratura italiana ha respinto - all’unanimità – una proposta di collaborazione inviatale dalla Scuola della Magistratura turca: una richiesta di partnership per organizzare in tandem il “workshop internazionale in materia di formazione giudiziaria”, da tenersi ad Ankara nel prossimo novembre.

 Il Presidente della Scuola turca, Seda Arslan, avrebbe infatti accompagnato la proposta di collaborazione con una lettera che “esalta il ruolo del governo turco nella difesa dello stato di diritto” di fronte al tentativo di colpo di stato del 15 luglio scorso. Nella lettera di risposta, il presidente della SSM italiana, il Professore Gaetano Silvestri, ha ricordato come al fallito golpe “sono seguiti l’arresto e la destituzione di migliaia di magistrati, di giornalisti, professori e pubblici dipendenti”. Dunque, non esistono le condizioni per l’avvio di “un rapporto di cooperazione”.

In Turchia, nel frattempo, continuano le “purghe” volute da Erdogan. Lo scorso 10 settembre le autorità hanno arrestato i fratelli Ahmet Altan, autorevole giornalista turco, e Mehmet, accademico, noto economista. Ahmet Altan, in particolare, sarebbe sotto inchiesta per aver rivelato un presunto piano per un golpe da parte dei militari. Sono più di 100 i giornalisti arrestati.

Nell’ultima settimana, 50.000 dipendenti pubblici turchi sono stati licenziati per decreto: colpito soprattutto il ministero dell’Istruzione. Ed ancora: 7.669 poliziotti e 323 gendarmi. Rimossi anche 1.519 imam, lavoratori della Presidenza per gli affari religiosi e 543 tra giudici e procuratori. Con le ultime destituzioni è così salito a 3.390 il numero dei funzionari del sistema giudiziario rimossi dopo il golpe; 15, invece, le Università chiuse per via di presunti legami con la comunità Gulen, movimento islamico in parte ritenuto responsabile del colpo di Stato.


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