Irma Testa verso le Olimpiadi di Parigi: “Sogno vita senza pregiudizi”
La butterfly di Torre Annunziata ringrazia il Maestro Zurlo e si confessa: “Matrimonio e figli nei miei progetti”
17-06-2024 | di Redazione
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Nella sua “Testa” ha solo Parigi. Irma, nata e cresciuta nel Rione Provolera di Torre Annunziata, è pronta per affrontare la sua terza olimpiade.
Soprannominata Butterfly per la sua agilità ed eleganza, a 14 è andata a Perugia per cominciare ad allenarsi nella Nazionale e ha messo in fila una serie di record. Prima pugile italiana ad andare alle Olimpiadi, Rio 2016, prima a conquistare una medaglia di bronzo, Tokyo 2020 e primo oro ai Mondiali femminili di pugilato a Nuova Delhi, nel 2023, nella categoria dei 57 Kg. E ora a Perugia, dove ormai vive da 13 anni, si sta preparando per Parigi.
E si è confessata in un’intervista, pubblicata su Vanity Fair, che riportiamo integralmente:
Come è cominciato tutto?
“Avevo 12 anni, andavo alle medie e ho cominciato a frequentare la palestra Boxe Vesuviana. Mia sorella Lucia già praticava pugilato ed è stato facile avvicinarmi a questo sport. Lei era un vero talento”.
Cosa ti ricordi di quei primi momenti?
“La prima cosa che ricordo è questa puzza tremenda di guantoni, perché i guantoni puzzano tantissimo. Tanti ragazzi che si allenavano. Mi piaceva questo mondo rude della palestra. A nessuno importava chi eri, com’eri vestito. Prima avevo praticato danza dove tutto doveva essere perfetto: gli abiti, lo chignon. Questa nuova dimensione mi ha conquistato”.
A 14 anni, grazie al tuo talento, sei andata a Perugia per allenarti con la nazionale. Cosa hai provato arrivata qui?
“Arrivai completamente da sola e la prima impressione fu stranissima, brutta. Vivevo in un hotel senza nessuno. A Torre non ero mai sola. Mia madre lavorava tutti i giorni, ma io venivo lasciata nel quartiere. Non era un comportamento irresponsabile, era normale. Lì ti conoscono tutti e qualcuno si prende cura di te, sei al sicuro. Tua madre dice alla signora che sta seduta in mezzo alla strada: “Me la guardi”. Io ero abituata a tante persone, tanti amici, tanto caos. Quel caos dei vicoli è la cosa che mi è mancata di più e che mi manca anche oggi. Sono venuta qui nella pace dei sensi, dove non vola una mosca, si mangia a mezzogiorno, si cena alle 7 di sera. Insomma tutto strano”.
E chi ti è mancato di più?
“Sicuramente mia madre, la mia famiglia, mia sorella che per permettermi di venire a Perugia ad allenarmi ha lasciato la boxe e si è messa a lavorare. Anche se adesso, dopo 13 anni, questa città la sento mia”.
Hai casa a Perugia?
“L'ho comprata quattro mesi fa una casa, in campagna, con la mia compagna Alessandra che si è trasferita qui per starmi accanto. Questa città e soprattutto il pugilato mi hanno cambiata. Da persona irrequieta e tremenda sono diventata molto zen. Ormai ricerco costantemente la pace, perché un atleta ha bisogno di silenzio e tranquillità”.
Come sei passata dal caos alla disciplina?
“È stata la boxe, perché è uno sport che comporta un grande sforzo fisico e quando metti tanto impegno nel portare il tuo corpo al limite estremo poi sei stanca e hai bisogno di tranquillità. E anche questa città piano piano ti entra dentro. Qui puoi riposare, puoi fare una passeggiata, puoi stare con te stesso e a contatto con la natura”.
Dove hai trovato la forza per superare la solitudine e la nostalgia?
“A casa avevo poco o nulla. Se me ne fossi andata, ciò che avrei lasciato era molto più di quello che avrei ritrovato. Non l’ho capito io perché ero troppo piccola e immatura. Se fosse stato solo per me sarei tornata indietro. Ma sono stata brava ad ascoltare le persone più grandi, mia madre, mia sorella, il mio maestro, che mi dicevano: “Stai facendo una grande cosa che ti darà enormi opportunità”. La spinta più forte, che mi ha aiutato a superare i momenti di down, arrivava sempre dalla mia famiglia. Quando salgo sul ring so che per loro è un momento di gioia. E per me renderli felici è la cosa più importante”.
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E tuo padre?
“Mio padre è stato assente per molti anni. Non ha mai aiutato la famiglia. Mia madre ha sempre lavorato moltissimo per sostenere tutti noi. Non siamo pronti al momento per riallacciare dei rapporti con lui”.
La boxe ti ha dato grandi opportunità?
“Mi ha permesso di girare il mondo. Mi ha insegnato tantissimo”.
Ti è pesato non potere frequentare un corso regolare di studi?
“Ho capito quanto fosse importante lo studio quando già non andavo più a scuola. Ho sottovalutato la cosa, ma poi ho iniziato a trovarmi con persone che mi facevano delle domande che a me sembravano assurde. Allora mi sono messa a studiare da sola. Non ho più smesso. Studio qualsiasi cosa. Sono molto curiosa e se non so una cosa voglio impararla. Mi fa sentire più sicura, perché quando non sai, sei manipolabile”.
Olimpiadi di Parigi, più il peso dell’aspettative o più la voglia di vincere?
“Le aspettative non mi fanno più paura e la voglia di vincere c’è ed è grande. Però cerco di far stare tutti con i piedi a terra. Dico agli allenatori e alla dirigenza: “State tranquilli, non porterò nessuna medaglia”. Perché so che con l’aspettativa non ci si allena bene. L’ho capito dopo Rio”. (Dove Irma non è riuscita a salire sul podio, ndr).
Quanto conta la testa sul ring?
“È tutto. Il corpo serve, ma non fa tutto da solo. In un incontro sei tu che parli con la tua testa e cerchi di parlare con la testa dell’avversario. Il corpo è già allenato, il muscolo è pronto”.
Fai del training psicologico?
“Adesso abbiamo un mental coach che ci seguirà fino a Parigi. Io all'inizio ero scettica, poi ho capito di averne bisogno. È molto utile per imparare ad abbassare i livelli d’ansia e di stress”.
Il tuo scetticismo dipendeva dalla tua voglia di farcela sempre da sola?
“Sicuramente. Noi atleti siamo abituati a farci vedere come dei robot: eccellere sempre, essere al massimo in ogni circostanza. È difficile ammettere i propri limiti”.
Come gestisci il dolore fisico e la fatica?
“Sul ring il male lo senti e non lo senti. Sei piena di adrenalina e di endorfine e quindi non ti accorgi di nulla. Il giorno dopo cambia tutto. A volte non puoi girare il collo, non puoi muovere il braccio e ti chiedi: “Ma come posso non aver sentito nulla?”. Questo ovviamente a meno che non ti colpiscano certi punti che ti mandano direttamente ko”.
Quanto conta il talento, quanto l’impegno?
“Sicuramente l’impegno è più importante, conta almeno il 60 per cento. Io l’ho capito dopo le Olimpiadi di Rio alle quali ero arrivata contando solo sul mio talento. E abbiamo visto com’è andata. Il talento può essere una condanna”.
In che senso?
“Ti viene tutto troppo facile e non capisci quanto devi spingere sull’acceleratore con l’allenamento. Dopo Rio ho capito che ti devi preparare e che se ti alleni con costanza i risultati arrivano. Ho avuto avversarie senza talento, brutte da vedere sul ring, ma con una grande resistenza e che alla fine non sono riuscita a tenere a bada”.
Sei scaramantica?
“Molto. Ho tantissimi rituali che faccio prima di un incontro e tantissimi oggetti che porto con me, dagli slip ai regali ricevuti negli anni”.
Cosa hai imparato dalle sconfitte?
“Tutte le volte che ho perso mi sono messa profondamente in discussione e ho lavorato sui miei errori e questo mi ha aiutato per l’appuntamento successivo. Dalle sconfitte si impara sempre però non nessuno vuole perdere. Anche perché se vinci vuol dire che hai fatto tutto bene”.
Hai detto una volta che il futuro ti spaventa.
“A noi atleti il dopo spaventa sempre. Tu accantoni la tua vita per anni e poi devi fare i conti con tutto quello che non hai potuto coltivare. E poi mi spaventa lasciare il mondo sportivo che è un mondo pulito”.
Su Vanity Fair, dopo la tua vittoria a Tokyo ti sei sentita pronta a fare coming out. Hai mai subito atteggiamenti discriminatori?
“Quando sei omosessuale le occhiatacce le senti sempre. Non nel mondo sportivo che è molto aperto, anche se per gli atleti fare coming out è complicato. Le discriminazioni le vivi di più nella società dove avverti ancora oggi i pregiudizi. Magari un uomo che ti dice: “Ah è perché non hai ancora provato con me”.
Vorreste dei figli?
“Assolutamente sì. Sia io sia la mia compagna desideriamo dei figli”.
Cosa pensi del fatto che in Italia le coppie omosessuali non possano adottare un bambino?
“Penso che sia un errore assoluto. E lo dice una persona che ha avuto due genitori, uno dei quali però aveva dei problemi che hanno creato grandi difficoltà a tutti e quattro i figli”.
Hai mai pensato di impegnarti per portare avanti questa battaglia?
“Assolutamente sì, mi piacerebbe combattere per ottenere dei diritti anche piccoli ma che in Italia sembrano giganti. Ora tutte le mie energie sono per lo sport, ma in futuro non lo escludo. Prima naturalmente vorrei studiare”.
Ti sposerai?
“Vorrei sposarmi sì, aspetto la proposta”.
Se tu dovessi dire grazie a qualcuno o qualcosa per essere diventata quello che sei?
“Sicuramente alla mia famiglia e ai due allenatori che in questi anni non mi hanno mai persa un attimo Lucio Zurlo e Emanuele Renzini. Hanno sopportato di tutto, hanno aspettato che io crescessi. Si sono fidati del fatto che io crescessi prima o poi, io non l’avrei mai detto. Se oggi sono quella che sono è grazie a tutti loro”.
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