Bellezza e arte troveranno sempre il modo di mostrarsi, se pur in modi e forme differenti. Per questo, ed altri motivi, la pandemia non ha fermato le sfilate della Paris Haute-Couture Week  2021, appena conclusa.

Défilé digitali, trasmessi da location memorabili (vedi Valentino e Chanel), e creazioni altrettanto uniche hanno fatto sì che la moda continuasse a stupire. Protagonista assoluta, a mio parere, si è rivelata la Maison Dior.

Ispirata dall’antico simbolismo dei tarocchi Viscontei di Bonifacio Bembo, Maria Grazia Chiuri, italiana, direttrice creativa del marchio francese, ha sublimato l’Haute-Couture, elevandola ad una dimensione più alta. Incantano gli abiti in tessuto jacquard dalle linee impero. Impressionano le texture “costruite” ad arte, per assomigliare a bassorilievi. Impalpabile, si mostra, preziosa, l’eterea organza.  Un’aura di magia si promana dai corpetti confezionati con abile maestria.

Il simbolismo contenuto nei tarocchi si affaccia, dunque, in modo prepotente nelle creazioni della Maison, che grazie alla sapiente arte del regista Matteo Garrone, diviene parte del più ampio ed immaginato  disegno: una storia alla ricerca dell’Io.

Perché i tarocchi? Ebbene siamo a conoscenza del fatto che monsieur Christian Dior, fondatore del marchio, fosse un uomo molto superstizioso e che si affidasse a rituali scaramantici per far sì che le sue sfilate fossero accolte con sorpresa e benevolenza, anche dal pubblico più insidioso (lo stilista portava sempre con sé degli oggetti portafortuna). Egli temeva i fallimenti, e, difatti, per conoscere, con anticipo, il destino delle proprie collezioni si affidava alle misteriosa arte divinatoria.

In un film di quindici minuti, con protagonista la figlia d’arte Agnese Claisse, ci viene presentata la collezione Dior.  Il regista Garrone, celebre per la sua tendenza narrativa, improntata alla tradizione favolistica, mostra gli abiti sublimati a trasfigurazioni oniriche degli “arcani maggiori”: la luna, la giustizia, la temperanza, la papessa, etc..

Un viaggio fra le mura del castello di Sammezzano, attraverso interrogativi, risposte confuse (l’arcano del “matto”), suggerimenti; inviti ad osservare le cose da un differente punto di vista (vedi la figura “dell’appeso”). “[...] Per arrivare, nella interpretazione del regista, a quel superamento del genere che è sintesi del maschile e del femminile”.

Una collezione, dunque, dal grande impatto visivo e morale, che induce lo spettatore alla riflessione.


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