Il mondo (sottosopra) del terrorismo islamico visto e raccontato da una miliziana dell'esercito di Al Baghdadi. Si chiama “Soldatessa del Califfato” (Imprimatur, 190 pagine) il libro di Simone Di Meo e Giuseppe Iannini che svela i misteri dell'Isis.

A parlare è direttamente una giovane donna tunisina entrata nella fila dello Stato Islamico per amore di un combattente. Testimone degli stupri di guerra nei campi di concentramento del Califfato e social media manager dei terroristi su Facebook e Twitter per il reclutamento di giovani donne da dare in sposa ai jihaidisti, la soldatessa rivela la faccia nascosta dell'organizzazione terroristica che sta facendo tremare l'Occidente.

 

La gente in Siria muore di fame. Non ci sono derrate alimentari sufficienti per sfamare la popolazione per l’intero anno. Dimenticate quei fantastici slogan sul paradiso terrestre dove l’amore per l’Islam dà calore. D’inverno c’è un freddo assassino. Le temperature sono molto rigide. Si scende sotto lo zero. E non tutti possono permettersi i riscaldamenti.

Gli unici che riescono a tirare avanti sono gli appartenenti all’Isis e le loro famiglie e quelli che si sono convertiti. Per tutti gli altri c’è solo miseria e dolore. Per i cristiani, poi, quelli che non possono permettersi di pagare un trafficante come Karim per fuggire all’estero, l’unica prospettiva di vita è la clandestinità.

Fino a qualche tempo fa molti conventi e monasteri funzionavano come mense pubbliche aperte pure ai musulmani poveri. I preti e le suore li gestivano ma i terroristi hanno chiuso e devastato tutto. Oggi, gli unici aiuti su cui può contare parte della popolazione arrivano dalle associazioni umanitarie che offrono kit di sopravvivenza, qualche utensile, una coperta, stufe. Ma è rischioso pure cercarli, questi soccorsi. E chi non può affidarsi all’umanità altrui, offre quel che può. Spesso i profughi siriani costringono le loro donne a prostituirsi per guadagnare qualcosa. O le offrono in cambio di un riparo.

Eppure, fino a una decina di anni fa, a Damasco si viveva benissimo. Me l’ha confidato una ragazza che era con me nella polizia morale. Ogni tanto capitava di scambiarci qualche impressione sul Califfato, stando bene attente a non parlare troppo. Mi diceva che la Siria, in passato, aveva un “calore particolare”. C’erano dei mercati importantissimi, specializzati nella vendita di oggetti di antiquariato e gioielli, che venivano frequentati soprattutto dai ricchi russi alla ricerca di qualche pezzo pregiato. Si stava bene, si viveva in pace.

Mi raccontava che ci si sentiva sicuri. Potevi passeggiare – e lei lo faceva – tranquillamente per Raqqa senza avere il terrore dei controlli, dei posti di blocco. Senza insomma avere il terrore di incontrare quelle come noi, la famigerata Hesba.

Raqqa era piena di verde, prima. C’erano giardini. C’erano fontane. E il sistema scolastico era l’orgoglio del Paese in tutto il Medioriente.

Quando sono arrivata a Raqqa, era tutto diverso. Diversissimo da come me ne hanno poi parlato. Ho trovato un paese e una città invivibili anche per quelli che, come noi, avevano in testa solo l’idea della Guerra Santa.

I prezzi sono altissimi e continuano a salire ogni giorno di più. Pane e latte sono considerati dei lussi e il loro costo è schizzato alle stelle, fino a trenta volte rispetto a qualche anno prima. Nei quartieri residenziali mancano spesso la luce e l’acqua corrente. La rete cellulare è quasi inesistente. I telefonini non funzionano e sono pericolosi perché facilmente intercettabili. Per mantenere i contatti si usano soprattutto i walkie-talkie. E, quando Allah ti assiste, qualche connessione di fortuna negli internet point. Sono centri affollatissimi e si ha a disposizione un numero limitato di minuti per usare Skype e gli altri software di comunicazione online.

Ci sono tuttora macerie ovunque e sangue, tanto sangue. I cadaveri per strada ce li ho ancora negli occhi. Le bombe hanno distrutto gran parte della regione controllata dall’Isis. Nelle scuole non si studia più arte, filosofia, musica, psicologia, e materie come fisica, matematica, scienze e chimica sono state mutilate per non andare contro il Corano. Pure gli ospedali sono in mano ai miliziani, e quelli che un tempo erano gli uffici governativi oggi sono frequentati dai jihaidisti. Il commercio è in ginocchio, i negozi sono vuoti perché non ci sono più soldi. E chi ce li ha, vive nella povertà comunque per non essere rapinato o sequestrato dai combattenti.

Sulle mura della città ci sono graffiti enormi che glorificano la Guerra Santa e inni al nostro mondo meraviglioso e al “principe dei fedeli”.

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