Luigi Leonardi è un imprenditore napoletano conosciuto dai media locali, ma anche da quelli nazionali. E’ uno di quei pochi, ostinati e testardi, rappresentanti della società che a volto scoperto parla della mafia, di quegli agenti che in maniera parassitaria, si agganciano alle forze dell’economia sana, alimentandosi della ricchezza che esse producono, danneggiando intera collettività. Ribellandosi alla pressione del racket e alla tassa occulta del pizzo, Luigi Leonardi è finito in rovina a causa del “apatico” sostegno da parte dello stato. Ha perso due fabbriche di impianti di illuminazione, catena di negozi e la casa. Negli anni ha subito le minacce ed è stato sequestrato. Le sue dichiarazioni e denunce contro esponenti dei cinque clan hanno portato a due maxi processi, rispettivamente ai tribunali di Napoli e di Nola.  Il “caso” di Luigi intreccia strettamente le questioni economici, giuridici ma anche culturali. Adesso imprenditore si trova sotto protezione dello stato come testimone di giustizia.

-Luigi, sono passati 17 anni dalla tua prima denuncia. La tua esperienza personale conferma che il maggior calvario burocratico incomincia proprio dopo averla fatta. Nell’arco di questi anni, quali erano le maggiori difficoltà e gli ostacoli nel tuo rapporto con lo stato, con la macchina giudiziaria?

“La tempistica: se lo stato vuole che i cittadini abbiano fiducia in lui, deve ridurre i tempi di reazione, deve blindare nel vero senso del termine le persone che decidono di denunciare e che con la loro decisione rappresentano un atto di civiltà e coraggio. Il mio primo maxi processo durato 11 anni, la valanga delle carte che dovevo presentare toglieva la possibilità di andare avanti lavorativamente e mantenere la mia quotidianità. Lo stato che applica le norme, mi ha negato molto, facendomi sudare ogni singola concessione”.

-La storia dell’impero dei Leonardi è molto interessante perché trae le sue origini da una brillante idea di tuo nonno. Com’è stato possibile per i tuoi antenati avviare un’attività ed avere un successo nei quartieri difficili di Napoli?

“Come molti giovani della sua età, nonno Luigi fu chiamato al fronte. Al termine del conflitto viene fatto prigioniero in Germania, tuttavia gli anni trascorsi sul suolo tedesco si sarebbero rivelati la sua fortuna. Fu lì che per la prima volta si ritrovò davanti a una di quelle lampade a forma di bulbo da cui uscivano a cascata fasci di fibre ottiche. Quando torno in patria, il nonno decise quindi di replicare quelle lampade che lo avevano così impressionato, l’intera storia dei Leonardi nasce con quella lampada che veniva dalle fabbriche della Leo Lamp appartenente a mio nonno 50 anni prima. I soldi, la fortuna, il dolore, le morti, gli incendi, i sequestri, gli spari, la mia vita erano legati a quella lampada”.

-Tuo nonno e tuo padre si adeguavano alle regole dell’antistato?

“Mi ricordo che già nel 1978 si sentiva la presenza dell’antistato sul territorio e le bombe, come il metodo più utilizzato per far piegare la testa ai cittadini e farli pagare il pizzo, facevano davvero paura. Dall’altro lato, i criminali, in certi contesti sociali e colturali in alcuni quartieri di Napoli, erano una specie di vip locali. Proprio sotto casa di nonna Rosa a Secondigliano c’era un famoso bar dove mi portava a prendere il gelato quando ero bambino. Era un tipico posto di periferia, incastrato tra le case popolari e le palazzine in cemento che affacciavano su una lunga via trafficata. Quel luogo fungeva da calamita per chi era affascinato dalla camorra. Si chiamava bar “Fulmine”. I morti tuttavia non scoraggiarono chi era attratto dalla criminalità organizzata che continuava a prosperare nel mito come solo in determinate zone è possibile. Una storia che va avanti da sempre… Ho visto mio nonno e mio padre pagare il pizzo, io stesso l’ho pagato fino ad arrivare a richieste di 6 mila euro a settimana e qui decisi che non si può e non si deve andare avanti così”.

-Se la storia della tua famiglia rappresenta l’imprenditoria nel Mezzogiorno, la tua, invece, è di una pecora nera che ha stravolto le regole della famiglia e quelli del quartiere, che ha preferito mettere a repentaglio l’impresa, non correre ai compromessi, perdere tutto ma non la propria dignità. Lo rifaresti?

“Resto convinto che denunciare sia un atto necessario, fondamentale, una scelta civica di enorme impatto sociale. Ma da dove vengo io non è così semplice, chi decide di non pagare o di ribellarsi diventa innanzitutto un infame che vuole fare l’eroe, un egoista che non vuole far campare gli altri. E’ questa pressione psicologica che precede quella fisica”.

- In che modo secondo te possiamo sconfiggere le mafie e sradicarle dai loro territori?

“Lo possiamo fare in modo semplicissimo: rispettando le regole. Spesso vado a parlare ai ragazzi nei quartieri difficili. Io porto la mia testimonianza in modo tale che loro facciano la connessione. Mi rendo conto che nei loro ambienti c’è abuso delle droghe leggere, già definirle tali è una stortura. Gli spiego in modo diretto: se siamo d’accordo tutti quanti che le mafie sono l’espressione peggiore della società allora perché dobbiamo finanziarle? L’estorsioni, il racket, l’usura, la droga non fanno altro che arricchire le mafie. Una società che si vuole definire civile non può avere la prima azienda la mafia. E’ quella che in assoluto fattura più di tutti. Più aumentano i fatturati di “azienda mafia” più diminuiscono le opportunità per i ragazzi di avere un lavoro, un posto in cui vivere e crescere tranquillamente”.

-Quest’anno il ministero dell’economia e delle finanze ha annunciato il mese di Ottobre, il mese di educazione finanziaria. Finetica Onlus sarà promotrice in Campania dei diversi eventi e manifestazioni. Perché dobbiamo considerare educazione, che è uno strumento preventivo, anche uno strumento principale?

“Molti mali della società derivano da una profonda ignoranza psicologica delle persone, dal loro sbagliato rapporto con il denaro, dalla loro incapacità di stabilire una giusta gerarchia dei valori. Viviamo in una realtà in cui il fittizio status e il consumismo prendono il sopravvento. I soldi sono necessari ma non possono sostituire un vero valore della vita. Per questo le tematiche in favore del civiltà e il corretto uso del denaro non devono esaurirsi”.

 

A cura di Nataliya Ivanyshyn

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