Torre Annunziata Il referente locale di “Libera”, due preti, nove ragazzini dei Salesiani e qualche esponente della società civile. Stop. In piazza Monsignor Orlando, l’orologio della Chiesa di “S.Alfonso” segna ormai le cinque e trenta. Bisogna partire. Pazienza se dal Comune nessuno, tra sindaco ed assessori, ricordi che oggi è il 26 marzo. Undici anni fa, alle otto di sera, Matilde Sorrentino, 49 anni, veniva trucidata sull’uscio di casa dal suo killer, Alfredo Gallo, ora all’ergastolo. Perchè? Denunciò i pedofili del rione “Poverelli”. Gli “orchi” che abusarono, nel ’97, anche dei suoi piccoli, Salvatore e Giuseppe. Da allora Matilde è per tutti “Mamma coraggio”. Per questo oggi è un giorno importante. Ma dal Comune non viene nessuno. Pazienza. Si parte comunque.

LA GIORNATA Simbolo del ricordo, ironia della sorte, è un monumento dedicato dall’Amministrazione di Torre Annunziata (il 26 marzo 2005, ndr) alle vittime della camorra. Basta leggere i nomi scritti sul marmo: Matilde Sorrentino, appunto. Poi Luigi Pastore, Raffaele Staiano, Andrea Marchese, Giancarlo Siani, Marco Pittoni. “Persone che, come Matilde, hanno avuto coraggio – afferma commosso Michele Del Gaudio, referente cittadino di “Libera contro le mafie” - . Abbiamo bisogno del loro esempio, per rafforzare la nostra battaglia”. Arriva pure il momento di nove minori, tra gli undici e i diciassette anni. Sono orfani o hanno già problemi con la giustizia, vivono nella “casa - alloggio” intitolata, in via Margherita di Savoia, a “Mamma coraggio” ed oggi prendono una rosa, appoggiandola a quel monumento “monito solenne agli eterni valori della libertà e della legalità”. “Il Comune non faccia appello contro il risarcimento dovuto ai figli di Matilde”, gridano tutti in coro. Ma questa è un’altra storia.

IL MONITO DEI SACERDOTI Don Franco Gallo, parroco della Chiesa di “S. Alfonso de’ Liguori”, ne ha viste tante. Venne pure iscritto nel registro degli indagati per “vilipendio della magistratura”. Il prete osò dire che “gli agguati ai danni di Pasquale Sansone (bidello della scuola degli “orchi”) e Michele Falanga (titolare di un bar) sono da ascrivere allo Stato ed alla Giustizia”. Dopo la morte di Matilde, infatti, la camorra si vendicò: “i bambini non si toccano” e i due, condannati nel ’99 per i fatti del rione “Poverelli”, furono giustiziati in estate dopo la loro scarcerazione per decorrenza dei termini. Le parole di don Franco fecero il giro d’Italia, lui divenne famoso. Oggi ci ride su, lanciando però un nuovo appello alle Istituzioni: “Non dimentichiamo Matilde ed il suo sacrificio”. Troppo tardi don Franco. Lei almeno ci ha provato.

Anche don Antonio Carbone è il classico esempio di prete di frontiera. E’ lui a gestire la comunità alloggio salesiana per minori “Mamma Matilde”: “Urliamo pure in pochi – esordisce – perché l’intero quartiere deve sentire che, nonostante la camorra, c’è qualcuno che al silenzio si ribella. Non è facile dirlo a cento passi dal luogo dove Matilde fu ammazzata. Ma proviamoci lo stesso. Sempre”.

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