“Mamma Coraggio va zittita”. L’idea di ammazzare Matilde Sorrentino uscì fuori già nel corso di una cena, avvenuta quindici giorni prima dell’omicidio, alla quale presero parte Francesco Tamarisco e Massimo Fattoruso, collaboratore di giustizia e affiliato al clan Aquino-Annunziata.

Le dichiarazioni sono state rese e ripetute dal pentito, in collegamento in una città segreta e difeso dagli avvocati Antonio Rocco Briganti e Alessandro Pignataro, in un verbale reso al pm Pierpaolo Filippelli. Fattoruso è stato ascoltato come persona informata sui fatti, nel processo che vede imputato proprio Francesco Tamarisco come il mandante dell’uccisione di “Mamma Coraggio”.

Alla Corte d’Appello di Napoli il teste ha raccontato per filo e per segno l’amicizia che c’era fra la sua cosca e quella dei cosiddetti “Nardiello”.  “Loro erano in contrasto con le altre famiglie camorristiche di Torre Annunziata e sfruttavano una sorta di patto di non belligeranza con i “Gallo-Cavalieri”, mentre erano nemici dei Gionta e dei “Franzuà”, esecutori materiali dell’agguato nel quale rimase vittima Bernardo Tamarisco, da quel momento costretto a vivere su una sedia a rotelle. Per via delle loro rivalità erano in volontaria reclusione nella villa bunker nella zona “palazzine dei Poverelli”, da cui non uscivano mai. Ma noi “Aquino” la frequentavamo con assiduità per i nostri affari illeciti”.

Poi il racconto della cena alla quale presero parte anche Bernardo, fratello di Francesco, e il fidanzato della sorella. Il boss riteneva le accuse di pedofilia, denunciate dalla stessa Matilde Sorrentino, infamanti per la sua persona.

“Francuccio disse che quella donna andava zittita una volta per tutte facendomi comprendere che era sua intenzione farla uccidere.  Io non replicai in alcun modo. Non passò molto tempo da questa cena che questa donna venne uccisa come appresi da giornali e televisioni. Di quell'occasione ebbi modo di parlare con Raffaele Aquino, alias “Rafele ‘e Mezanotte”, che mi disse che dovevamo farci i fatti nostri perché era una vicenda non del nostro paese ma di Torre Annunziata. Dopo l’omicidio rividi Francesco Tamarisco altre tre o quattro volte, sempre per questioni relative a scambi di droga tra lui e Raffaele Aquino. Con lui sono sempre stato in ottimi rapporti anche durante il nostro periodo di detenzione”.

I difensori di Tamarisco hanno, però, ritenuto le sue dichiarazioni prive di riscontri.


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