"Mi chiedevano soldi per le famiglie dei carcerati". Il racconto del 'commerciante coraggio' inchioda i Gionta
La confessione ai carabinieri 'inguaia' Guarro e Immola. E il triste racconto del viaggio a Palazzo Fienga...
14-07-2015 | di Gianluca Buonocore
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“Mi mandano i compagni per il regalo dei carcerati”. Così Michele Guarro, alias ‘Batti le manine’ (già oggetto di un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip lo scorso 6 giugno 2014), si presentava ad un negoziante di Corso Umberto I a Torre Annunziata per chiedere il pizzo. A dichiararlo è lo steso proprietario della boutique che per anni è stata vittima del racket organizzato dai Gionta. ‘L’imprenditore coraggio’ non si è arreso ed ha raccontato agli inquirenti tutti i dettagli, fino al riconoscimento fotografico dei suoi estorsori.
LA PRIMA RICHIESTA. Il racconto comincia addirittura nel dicembre 2005. “Ricordo benissimo che Guarro entrò nel mio esercizio chiedendomi il ‘regalo per i carcerati’, pari alla somma di 1000 euro. Denaro che poi gli consegnai nei pressi di un bar di piazza Imbriani. Durante lo scambio, per non far intendere l’illecito che si stava consumando ‘Michele batti le manine’ mi consegnò dieci cestini natalizi, che ovviamente non avevano lo stesso valore della cifra estorta”. La richiesta di pizzo durante le ‘feste comandate’ erano diventate ormai una consuetudine per Guarro, che per la Pasqua dell’anno successivo chiese 500 euro fino a salire ai 700 riguardanti i mesi di dicembre 2006 e giugno 2008. Secondo il commerciante lo stesso sistema veniva utilizzato anche per altri negozi del corso, che dovevano eseguire le stesse modalità di ‘pagamento’.
STOP AND GO. Per un po’ il pizzo comunque si arrestò, fino all’ estate del 2008, quando l’uomo fu ‘convocato’ a Palazzo Fienga da ‘Antonio ‘o biondo’, che spesso si presentava con la moglie e le figlie per acquistare vari tipi di indumenti. ‘Venni prelevato da una persona che si presentò come il figlio di ‘Michele batti le manine’ che mi disse in chiaro dialetto torrese “Ci sono i compagni che ti vogliono parlare”. Giunto al primo piano di un’abitazione in disuso della vecchia roccaforte dei ‘valentini’, mi fu fatta una richiesta pari a 2/3mila euro. Io dissi che non potevo disporre di una tale somma, che mi fu ridotta fino a 700 da Antonio ‘o biondo. Alla fine della contrattazione mi fu detto che i soldi non servivano a sovvenzionare le attività illecite del clan, ma a pagare le spese processuali degli arrestati in quel momento storico. Anche in quell’occasione a ritirare il pizzo fu Michele Guarro alias ‘batti le manine’.
LA FIGURA DI IMMOLA. E’ dal Natale del 2012, che entra in gioco anche la figura di Aristide Immola, ritenuto dalle forze dell’ordine vicino alla cosca dei ‘Gionta-Chierchia’. Secondo la versione del commerciante, in ben due occasioni Immola si presentò come emissario di altri detenuti, per i quali chiedeva il contributo. Le minacce portarono alla consegna di 150 euro dopo l’iniziale prezzo di 250.
IL FATTO. Nel dicembre 2013, però, all’interno della boutique entra un’altra persona che chiede anch’essa un ‘regalo per gli amici carcerati’. Prontamente chiamai l’amico Domenico Bucciero (già destinatario della stessa ordinanza di custodia destinata a Guarro) – prosegue il commerciante- che in poco tempo risolse la situazione. Tengo a precisare che non mi fu fatta alcuna richiesta economica da parte di Bucciero, il quale per mia gratitudine ricevette alcuni prodotti caseari da consumare durante il periodo di Pasquae Dopo poco tempo comunque mi rivelò che a bussare alla porta fu un certo Benito (Cioffi ndr)”. Da questo momento in poi non c’è stato più nulla all’epilogo di stamattina, che ha aperto un altro filone d’inchiesta importante sugli affari illeciti del clan Gionta.
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