Morto per un proiettile sparato a “festa” a Capodanno. La cronaca di quel tragico 31 dicembre 2007
Le reazioni. I parenti: “Non c’è stato nulla da fare”. La vedova: “Il mio Giuseppe ucciso da un camorrista”
15-07-2016 | di Salvatore Piro

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Torre Annunziata. E’ la notte del 31 dicembre 2007, ore 23:15. Giuseppe Veropalumbo, carrozziere oplontino di 30 anni, aspetta il Capodanno in casa. Gioca a carte in famiglia dopo il cenone. Sono più o meno venti, tra adulti e bambini. Tutti invitati alla gran Festa. Ridono, scherzano, attendono l’anno che verrà. In braccio Giuseppe ha sua figlia, la piccola Ludovica. La tiene stretta a sé. Quasi intuisce che sarà l’ultima volta.
Sì perché Giuseppe, d’improvviso, si accascia sul tavolo ancora pieno di carte. Il sangue che gli esce dalla bocca e dal fianco sinistro. Un colpo di pistola vagante, esploso dall’esterno per «festeggiare» la mezzanotte, fora i doppi infissi della finestra della sua abitazione, al nono piano di uno stabile di dodici in corso Vittorio Emanuele. Giuseppe muore sul colpo.
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Inutili i soccorsi del personale del 118 e il successivo trasferimento all’ospedale di Boscotrecase. Il proiettile trafigge secco il cuore di Giuseppe. L’operaio era seduto al tavolo, vicino alla finestra. Con lui a giocare a carte un cognato e lo zio. Poco più in là, alle prese con la tombola, donne e bambini.
«Abbiamo capito subito che era accaduto un fatto grave, abbiamo cercato di aiutarlo – commenteranno poi alcuni familiari - ma non c’è stato nulla da fare». Tra Napoli e provincia, in quella stessa tragica notte di San Silvestro, si conteranno complessivamente 85 feriti, tra cui 11 minori. Da subito sua moglie, Carmela Sermino, parlerà di un omicidio di camorra. Pensiero ribadito a distanza di anni in una commovente lettera aperta ripresa dai mass-media di tutta Italia.
“Non è stata una fatalità, ma un omicidio – così la vedova Veropalumbo - . Giuseppe è stato colpito dal proiettile esploso da una pistola calibro 9×21. Quell’arma non si è messa a sparare da sola. Un criminale ha premuto il grilletto senza preoccuparsi delle conseguenze del suo gesto; lo ha fatto con lucida follia, comportandosi da camorrista. Perché chi detiene un’arma e la utilizza in questo modo è un camorrista. Dimostra di sentirsi padrone di ogni centimetro intorno a sé e sa anche di poter spezzare altre vite. Quella di Giuseppe è stata una morte assurda. Che non può essere dimenticata; così è stata definita. Dimenticati sono stati i miei appelli e le lettere che ho scritto, dimenticata da chi avrebbe dovuto fare qualcosa in più per trovare chi ha sparato”.
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