TORRE ANNUNZIATA. “Sì, sono stato minacciato. All’ospedale di Boscotrecase, quella notte, c'erano diverse persone”. Lo ha dichiarato ai giudici della IV corte d’assise di Napoli uno dei medici che il 31 maggio 2014 operò in chirurgia, per una grave emorragia interna, Andrea Gallo (23 anni), il fratellino del boss dei Limelli-Vangone “Peppe o’ pazz” (ora al 41-bis).

Andrea Gallo è l’unico imputato per il duplice omicidio dei fratelli Giovanni e Roberto Scognamiglio, freddati nella loro villetta di via Andolfi, al confine con Pompei, da diversi colpi di calibro nove “per una partita di droga mai pagata al clan”: questa l’ipotesi al vaglio del pm della Dda di Napoli Claudio Siragusa. Tutto sarebbe avvenuto dopo una lite per questioni di denaro, sfociata in un conflitto a fuoco nel quale lo stesso Gallo rimase ferito all’addome. Un giovane (il Gallo, appunto), proprio quella notte fu lasciato agonizzante all’esterno dell’ospedale di Boscotrecase, scaricato lì da due complici mai identificati.

LE MINACCE. Operato d’urgenza, Andrea Gallo finì prima in coma farmacologico al “Loreto Mare”, poi in cella a Secondigliano. Il proiettile che quasi lo uccise non venne mai ritrovato. Secondo l’Antimafia fu sua sorella Michela (36) a fare presunte pressioni sui medici per far sparire una prova a dir poco schiacciante. Per questo Michela Gallo finì in manette per minacce. Il Tribunale del Riesame, poco tempo dopo l’agguato, la liberò per difetto di gravità indiziaria.

L’UDIENZA. A confermare le presunte minacce subite per far sparire l’ogiva solo uno dei 6 sanitari che nella notte tra il 30 e il 31 maggio 2014 soccorsero Andrea Gallo e Giovanni Scognamiglio. Gli altri cinque, chiamati ieri a testimoniare dinanzi ai giudici (due medici e tre infermieri in servizio all’ospedale “S. Anna”) hanno invece negato l’accaduto. Per la difesa di Gallo, presente in aula, le prove a carico sarebbero deboli. Ad inchiodarlo, solo la sospetta “contestualità cronologica dell’arrivo in ospedale” con una delle vittime del raid.


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