Omicidio Melania Rea: Salvatore Parolisi torna in libertà dopo 12 anni
L’ex militare usufruisce di permessi premio giornalieri. Su “Chi l’ha visto” l’intervista esclusiva
05-07-2023 | di Redazione
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Salvatore Parolisi torna in libertà dopo 12 anni in carcere. Condannato a 20 anni di carcere per l’uccisione della moglie Melania Rea, parlerà per la prima volta dopo anni di silenzio (e di carcere) questa sera in una intervista esclusiva annunciata dal programma “Chi l’ha visto”. L’ex militare gode di permessi premio perché la sua condotta pare essere quella di un detenuto “modello”. Lavora come centralinista, mai un comportamento inappropriato. Ed è inevitabilmente alta la curiosità per questa intervista ad un uomo che dal 2011 alla condanna diventò (suo malgrado) un personaggio mediatico. In tv piagnucolava per sua moglie. Poi, fuori dagli studi, telefonava all’amante chiedendole di mentire.
Di lui si sa per certo che ha cercato di dare una sterzata alla sua vita, ha voluto ricominciare daccapo. Ha intrapreso un percorso di studi, si è iscritto alla facoltà di giurisprudenza alla Statale di Milano, ha dato sette esami. Tutto il resto è avvolto nel buio più totale. Di sicuro non può più vedere né sentire sua figlia Vittoria, di cui da tempo ha perso la patria potestà. La piccola, che al momento dei tragici fatti aveva 18 mesi, vive con i nonni materni a Somma Vesuviana e non porta più il cognome del padre. Ha ottenuto di cancellare dalla sua carta di identità il passato.
Scrisse il Tribunale per i minorenni di Napoli spiegando il provvedimento che toglieva al militare la potestà genitoriale sulla figlia: “In assoluto disprezzo delle drammatiche conseguenze per la figlia, veniva dal Parolisi Salvatore uccisa la madre della minore con la figlia probabilmente in macchina, si spera addormentata”.
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LA RICOSTRUZIONE. È il 18 aprile 2011 quando Carmela Rea, detta Melania, 29 anni, madre di una bambina di 18 mesi, sparisce nel nulla in provincia di Ascoli Piceno. A denunciarne la scomparsa è il marito, Salvatore Parolisi, caporalmaggiore dell’esercito. “Eravamo andati a fare una gita al Pianoro di Colle San Marco. Io ero con nostra figlia alle altalene, mia moglie si è allontanata per andare in bagno e non è più tornata”, dirà al proprietario di un bar proprio davanti alle giostre. Un racconto strano, sin dall’inizio. Nella prima telefonata ai carabinieri il caporalmaggiore dirà: “Se la sono pigliata”.
Alle ricerche Parolisi non partecipa. Si scoprirà poi che passa quelle ore in caserma a cancellare il profilo Facebook con il quale chattava con l’amante. Gli audio concitati con lei, la sequenza drammatica delle telefonate per convincerla a sconfessare la loro relazione, saranno determinanti per tracciare il quadro.
Il mistero della scomparsa trova la svolta due giorni dopo grazie a una telefonata anonima: “C’è un corpo vicino al chioschetto del Bosco delle Casermette a Ripe di Civitella del Tronto”. Quel corpo è di Melania: è seminuda, uccisa e sfigurata con 35 coltellate. Salvatore Parolisi viene messo sotto torchio ma nega qualsiasi cosa, nega anche di avere una relazione extraconiugale. Verrà intercettato nei giorni a seguire e i sospetti troveranno conferma. Secondo l’accusa, la coppia, con la bambina in auto, non si fermò mai alle giostre ma si diresse verso Ripe di Civitella (Teramo). Melania, venne aggredita alle spalle dal marito, cercò di fuggire ma non ci riuscì.
LA CONDANNA. Il 21 giugno 2011 Il marito di Melania viene iscritto nel registro degli indagati con l’accusa di omicidio volontario aggravato. Sconvolti i familiari di Melania che non avrebbero mai pensato di avere di fronte un mostro. Lui si difende: “Sono innocente, ho tradito Melania ma non l’ho uccisa”. Il 19 luglio Parolisi viene arrestato e si chiude nel silenzio. La bufera è totale, la famiglia Rea chiede l’affidamento della piccola Vittoria. Nei vari interrogatori che seguono il caporalmaggiore si avvale della facoltà di non rispondere. Il Gup dà l’ok al giudizio immediato: il 19 ottobre 2012 inizia il processo, la sentenza sarà ergastolo. La pena ridotta poi in appello a 30 anni e poi definitivamente a 20 anni in Cassazione. I giudici non riconoscono l’aggravante della crudeltà, nonostante le coltellate che hanno sfigurato la povera 29enne. Nelle motivazioni si dice che il delitto scaturì “dopo un impeto d’ira, nato da un litigio tra i due coniugi e dovuto alla conclamata infedeltà coniugale dell’uomo”.
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