"Sono io con la pistola in mano". Secondo la Procura di Torre Annunziata è nelle intercettazioni ambientali la prova schiacciante della colpevolezza di Giuseppe Vangone. Il presunto killer si riconosce nelle immagini del sistema di videosorveglianza e ammette il suo coinvolgimento nel raid armato ai danni della pescheria 'Il Delfino'. Un autogol che conferma agli investigatori che è lui l'assassino di Antonio Morione, il pescivendolo assassinato il 23 dicembre 2021 durante un tentativo di rapina.  

In questi due anni nel mirino degli investigatori c'è sempre stato lui: Giuseppe Vangone. La Procura di Torre Annunziata non ha alcun dubbio: è il nipote del boss l'esecutore materiale dell'omicidio. Giovedì scorso è scattato il fermo per il presunto killer, tradito dalle intercettazioni ambientali. I Carabinieri del Nucleo Investigativo di Torre Annunziata hanno fatto irruzione nella sua abitazione e sequestrato droga e armi. Un castello accusatorio granitico tenuto in piedi dalle frasi dello stesso Vangone, impaurito dalla prospettiva dell'ergastolo. "Sono già con un piede dietro".

Giorno dopo giorno il cerchio degli inquirenti si è chiuso sempre più, diventando un vero e proprio cappio stretto al collo del Vangone. Gli altri uomini del commando, Di Napoli e Palumbo, sono stati arrestati lo scorso luglio. All'appello mancava proprio lui, inizialmente scampato all'arresto per insufficienza di prove. Ma il countdown era già iniziato e il rapinatore sapeva di avere i giorni contati. Poi la svolta con il decreto di fermo per il pericolo di fuga e la detenzione di armi e droga. "Una strategia si trova sempre - lo rincuorano i familiari - magari ti iscrivi al Sert e fingi di essere drogato. Gli dici che non ricordi nulla di quella sera e che non sei stato tu".

Sarebbero state proprio le conversazioni captate durante l'attività investigativa a confermare agli inquirenti la colpevolezza di Vangone. Secondo l'Accusa nelle intercettazioni emerge una diretta confessione del rapinatore, a colloquio con la famiglia per trovare una strategia difensiva e scampare all'ergastolo. Prima il suggerimento dell'iscrizione al Sert con una data fasulla antecedente all'omicidio e poi la strada dell'infermità mentale. Trucchi che, secondo Vangone e familiari, avrebbero scongiurato il carcere a vita. 

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